Gallery
Via Stampatori 4, 10122 Torino
Giorgio Persano apre la galleria di Torino nel 1970 con il nome Multipli. Propone opere dell’arte Pop americana e contemporaneamente cura la produzione di lavori a tiratura limitata con gli artisti dell’Arte Povera.
Dal 1975 inizia con il proprio nome un’attività regolare di progettazione, produzione di opere e mostre che vede coinvolti artisti quali Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Pier Paolo Calzolari, Gilberto Zorio, Mimmo Paladino, Sol Lewitt, Joseph Kosuth, Gerhard Merz, Julião Sarmento e più giovani da Per Barclay, Susy Gòmez, Costas Varotsos, Maria Serebriakova, Rob Birza, Alfredo Romano, a Paolo Grassino e Luisa Rabbia. Nel 2005 apre un nuovo grande spazio in via Principessa Clotilde, dal 2010 sede unica della galleria, che offre agli artisti la possibilità di ‘sperimentare’ anche lavori di grandi dimensioni, tra questi Lawrence Weiner, Nunzio, Pedro Cabrita Reis, Eliseo Mattiacci, Marco Gastini, Lida Abdul, Antoni Abad, Jan Dibbets e Susan Norrie.
Exhibits
31.05.2022 - 29.07.2022
opening: 28.05.2022
31.05.2022 - 29.07.2022
Dopo la mostra del 2013, Giorgio Persano è felice di presentare, al primo piano di Palazzo Scaglia di Verrua – Torino, una nuova personale di Michele Zaza, dal titolo “La radice del silenzio”, realizzata in collaborazione con l’Artista e il suo Archivio.
La mostra restituisce un dialogo pieno di rimandi tra alcune opere con foto in bianco nero del 1974 e 1975 e un particolare periodo dell’indagine dell’artista risalente alla metà degli anni Novanta.
Se nelle opere degli anni Settanta si fa evidente il “teatro personale e familiare” di una rappresentazione da camera di carattere esistenzialista, le opere degli anni Novanta, sempre in bianco nero, restituiscono una forma più astratta e cifrata, concentrandosi sul volto in primo piano, accostato a forme scultoree dall’aspetto cicladico – sempre fotografate.
Dal 1974 Zaza realizza diverse serie fotografiche con il titolo Mimesi, nelle quali ricorre spesso la sua figura sospesa a testa in giù: “il mio pavimento non era la terra, ma era il cielo: appoggiavo i piedi idealmente sul suolo del cielo, e non sul suolo della terra. L’ovatta ne è metafora per questo. Vi è il desiderio di essere cielo, di essere l’universo”.
In un’opera in mostra (Mimesi, 5 foto) vediamo la testa capovolta e parzialmente annerita che oscilla all’ingiù descrivendo un arco di 360 gradi. Il peso preme e la soffice ovatta contrasta con esso. In corrispondenza delle diverse inclinazioni del capo vi è l’andamento del tempo indicato dalla sveglia, con il quadrante che man mano si cancella.
In altre opere ancora esistenza e assenza, tempo e ignoto, sono a confronto. Il volto del padre dell’artista dipinto di scuro, in Mimesi da 7 foto, diventa un rituale del passaggio verso una dimensione senza corpo, totalmente onirica.
L’oscurità e il nero sul viso ritornano in modo preponderante negli anni Novanta. Nelle opere del 1997 – come Il centro del respiro (23 foto bianco nero), Corpo centrale (3 foto bianco nero), La radice del silenzio (24 foto bianco nero), La via del respiro(4 foto bianco nero) – assistiamo a un vocabolario formale asciutto e incisivo, dove il volto acquista centralità e si confronta continuamente con una immagine (oggettuale) immaginaria, un corpo inventato, in una dimensione unica e “metafisica”.
Nei lavori di Zaza vi è dunque un percorso ideale verso un corpo simbolico senza tempo: dalla sua figura capovolta (la testa in giù) del 1974-1975, alla presenza scultorea alla quale si accostano volti che compaiono dalla profondità del nero.
Come sottolinea Michele Zaza, nelle sue opere emerge inoltre “l’evocazione, la ricomposizione e la incarnazione di una unità perduta” che sollecita sempre “la mente a ribellarsi all’idea del maschile e del femminile”.
La forma astratta che vediamo nelle foto, quanto il viso dell’artista, o il volto femminile in Corpo centrale, emergono dal buio del silenzio, che per Zaza è “silenzio del pensiero”, ovvero un tempo meditativo, assoluto, che porta con sé anche un tempo circolare – come per l’opera La radice del silenzio, che dà il titolo alla mostra.
Le 24 foto in bianco nero mostrano il volto dell’artista attraversato verticalmente (tagliandolo in due) da una sorta di asse che mantiene un grande fiore di ovatta bianca, metafora del respiro, della luce e della leggerezza. Il ripetersi dei 24 volti esprime la scansione delle 24 ore di un giorno, la loro ciclicità. Difatti “è il tempo circolare: l’uomo scompare e poi rinasce all’infinito, perpetuandosi. Un tempo che filosoficamente può essere definito come l’immagine mobile dell’eternità immobile.”
Sia nella metà degli anni Settanta sia nella metà degli anni Novanta, Michele Zaza trasforma così l’esistenza da materiale a immateriale e viceversa. I volti cercano di apparire dall’oscurità o abitare in essa. Le opere sembrano proporre un doppio che si muove tra la nera sostanza e un’energia illuminante, a volte una fonte luminosa nascosta che irrora luce e rivela le parti.
Michele Zaza (Molfetta, 1948).
Nel 1967 s’iscrive al corso di Scultura di Marino Marini all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove consegue il diploma nel 1971. Si dedica fin da subito a una ricerca espressiva condotta attraverso il mezzo fotografico e già a partire dai primi anni ’70 fa parte della scena artistica internazionale. Nel 1975 partecipa alla Biennale di Parigi e nel 1977 alla XIV Biennale di San Paolo. Nel 1977 è a New York, dove espone con Giulio Paolini al Fine Arts Building. Nel 1980, sempre a New York, tiene una personale alla Leo Castelli Gallery. Nello stesso anno è invitato alla Biennale di Venezia con una sala personale. Nel 1981 è invece a Parigi con una personale al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. Nel 1977 e nel 1982 partecipa a Documenta di Kassel. Negli anni Ottanta e Novanta espone a Parigi al Centre Pompidou (1981-1985-1993), alla Nationalgalerie di Berlino (1983), al Cabinet des estampes du Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra (1981-1992-1996) e a Mosca, presso lo Shchusev Architecture Museum (1996). Nel 2000 presenta il suo lavoro al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e nel 2004 torna al Cabinet des Estampes di Ginevra. Nel 2010 è nuovamente in mostra a Roma con una personale alla Fondazione Volume! Nel 2011 è a Martina Franca alla Fondazione Noesi e a Prato al Museo Pecci, nel 2014 è in mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e nel 2016 a Milano presso FM Centro per l’Arte Contemporanea. Le sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche, tra le quali: Fondation Emanuel Hoffmann, Öffentliche Kunstsammlung (Basilea); Hamburger Bahnhof-Museum für Gegenwart (Berlino); Walker Art Center (Minneapolis); Centre Georges Pompidou e Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (Parigi); Staatsgalerie (Stoccarda); Museum of contemporary art (Téhéran); Kunsthaus (Zurigo).
Lavori dell’artista saranno presentati questo autunno a Jeu de Paume e LE BAL nella grande mostra “Scène Italienne 1960-1975” (Parigi, ottobre 2022).
03.03.2022 - 25.05.2022
opening: 02.03.2022
03.03.2022 - 25.05.2022
Dopo la mostra del 2015, Giorgio Persano è felice di presentare, al primo piano di Palazzo Scaglia di Verrua, una nuova personale di Michael Biberstein.
Le grandi opere esposte ci immergono in un’atmosfera sospesa, lasciandoci intravedere orizzonti che a stento riconosciamo, in un sovrapporsi di nuvole e profili di montagne, ottenuti attraverso ripetuti strati di acrilico molto diluito, o a spray, su lino. La texture delle tele è così impalpabile e al tempo stesso capace di intensi cromatismi, con masse di nubi che sembrano caricarsi per poi aprirsi in inaspettate schiarite.
Se dal punto di vista estetico paiono immediatamente chiari i riferimenti alle luminose volte tardobarocche del Tiepolo (fu proprio la visione dell’affresco del maestro veneziano a Würzburg a ispirare all’artista il progetto del soffitto a volta della Chiesa di Santa Isabel di Lisbona), come attenta è la conoscenza dei paesaggi “mentali” di Lorrain, Turner e Constable, i cieli di Biberstein rivelano inoltre interessanti analogie con la pittura orientale. Spostando l’attenzione sul processo pittorico, l’atto del dipingere diviene una sorta di pratica spirituale, la cui meta è tutta interiore, sia per l’artista sia per lo spettatore.
”Come ci troviamo sulla cima di una montagna e osserviamo un paesaggio sublime, l’occhio vaga sul paesaggio, lo sguardo totalmente rilassato, mai fissato a lungo su un singolo punto, la periferia del campo visivo tanto presente quanto il centro. E così, per un momento, il sé e tutto ciò che lo circonda si assorbono, coincidono”. Per l’artista il paesaggio è dunque un pretesto, un’invenzione della mente, e lasciare intravedere appigli di realtà conosciuta significa accompagnare chi guarda in una lenta esperienza immersiva. Ed è in questa dimensione di indagine psicologica, fenomenologica ed emotiva, che si esprime l’unicità e la contemporaneità di Biberstein.
Michael Biberstein (Solothurn, Switzerland, 1948 – Alandroal, Portugal, 2013).
Nel 1964 si trasferisce negli Stati Uniti. Al Swarthmore College di Philadelphia incontra David Sylvester sotto la cui guida studia Storia dell’Arte. Dopo aver vissuto tra gli Stati Uniti e la Svizzera, nel 1979 si trasferisce in Portogallo, dove trascorrerà la maggior parte dei suoi anni, sino alla morte improvvisa, sopraggiunta nel 2013.
Pittore autodidatta, dagli anni ’70 le sue opere vengono esposte in tutto il mondo e sono presenti nelle collezioni di arte contemporanea di musei e fondazioni, tra i quali: il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, il Whitney Museum of American Art di New York, il Calouste Gulbenkian Foundation Centre for Contemporary Art di Lisbona, la Serralves Foundation di Oporto, il Museu Colecção Berardo di Lisbona. Nel 2018 è stata presentata al Culturgest, Fundacao Caixa Geral de depositos di Lisbona un’importante retrospettiva dell’artista: Michael Biberstein: X, a cura di Delfim Sardo. Nel 2020 il restauro della Chiesa di Santa Isabel a Lisbona ha vinto il Premio Maria Tereza e Vasco Vilalva
07.10.2021 - 29.01.2022
opening: 07.10.2021
07.10.2021 - 29.01.2022
Dopo la grande installazione del 2007, il 7 ottobre 2021 la Galleria Giorgio Persano presenta, nello spazio di Via
Stampatori 4 – Torino, una nuova personale di Jan Dibbets dal titolo Miliardi di universi. Il percorso espositivo si
costruisce attraverso grandi fotografie realizzate nell’ultimo decennio.
Nei NewColorStudies l’artista riprende alcuni dettagli di carrozzerie di automobili, che riflettono il paesaggio circostante,
scattati in analogico per i suoi storici ColorStudies degli anni ’70, ingrandendone il negativo fino a ottenere immagini
digitali monocromatiche. L’artista, ponendosi la domanda “Cosa succederebbe se togliessi all’immagine la sua
struttura?”, con questo lavoro di sottrazione del dato di realtà – che non viene mai completamente perso – invita ad
addentrarsi in nuove possibili astrazioni.
Lo stesso processo, ma portato all’estremo, vale anche per la serie B.O.U. Tutte le opere provengono da un negativo
degli studi sul colore dei ColorStudies del 1976, divisi verticalmente in due parti. L’artista li ha ingranditi con un
programma di elaborazione digitale, dando vita per errore a composizioni astratte di colori e forme, sottolineando il ruolo
primario delle tecnologie nella rappresentazione di ciò che percepiamo.
Secondo Dibbets, infatti, “la realtà è un’astrazione”, tutto dipende dal come, dal modo in cui facciamo esperienza. La
percezione è una vera e propria potenza trasformativa che interviene direttamente nella costruzione del mondo. Se non
esiste una realtà oggettiva e universale, la fotografia non deve essere intesa come una rappresentazione
documentaristica e neutrale, ma implicare sempre una dimensione creativa legata ai mezzi tecnici in uso in un
determinato periodo storico. L’artista, citando il filosofo V. Flusser, afferma: “Queste virtualità sono praticamente
inesauribili. Nessun fotografo può sperare di scattare tutte le fotografie possibili. L’immaginazione della macchina
fotografica è più grande di quella che può avere un singolo fotografo o l’insieme di tutti i fotografi al mondo. È
precisamente questa la sfida del fotografo”.
Sia nei lavori monocromatici NewColorStudies (2010-2014) sia nella serie B.O.U (2019), la tematizzazione del passaggio
dall’immagine analogica a quella digitale è centrale. Si tratta quindi di comprendere quali siano gli effetti percettivi di
questa transizione e a che tipo di realtà ci diano accesso. Con queste opere, Jan Dibbets ci offre dunque la chiave per i
miliardi di universi che si schiudono davanti a noi quando proviamo a guardare oltre quello che si vede.
Jan Dibbets (Weert, Olanda, 1941), vive e lavora ad Amsterdam e in Toscana.
Studia presso l’Accademia d’Arte di Tilburg ottenendo il Royal Grant for Painting nel 1965. Nel 1967 frequenta la St. Martins School
of Art, Londra. Nel 1969 inizia a insegnare all’Atelier 63, Haarlem-De Ateliers, Amsterdam, dove continuerà fino al 1998. Nel 1972 è
invitato a Documenta V, Kassel, alla quale parteciperà nuovamente nel 1977, e rappresenta l’Olanda nella 36esima edizione della
Biennale di Venezia. Nel 1973-74 vive e lavora a Roma. Nel 1979 gli viene conferito il Premio Rembrandt dalla F.V.S. Foundation,
Basel. Nel 1984 inizia a insegnare all’Accademia d’Arte di Düsseldorf, dove resterà fino al 2005. Nel 1995 riceve il premio Sikkens
per il design delle vetrate per la cattedrale di Blois in Francia, presentate nel 2000. I suoi lavori sono esposti in numerosi musei e
collezioni private di tutto il mondo, inclusi Stedelijk Museum Amsterdam, Miami Art Museum, Museum of Modern Art Oxford,
Solomon R. Guggenheim Museum New York, Walker Art Center Minneapolis and Musée d’Art Moderne de la ville de Paris.
ORARI DI APERTURA
martedì – sabato: 10 – 13 | 15.30 – 19
La Galleria Giorgio Persano presenta, nello spazio del giardino interno, Afghanistan di Rob Birza.
L’opera appartiene all’omonima serie del 2005, presentata per la prima volta nella sede di piazza Vittorio Veneto e creata
a partire da fotografie di guerra, tratte dai giornali, scattate nei territori della Palestina, dell’Iraq e dell’Afghanistan. Di
queste si è deciso di riproporne una particolarmente significativa, dedicata all’Afghanistan, alla luce della recente
caduta di Kabul e del ritiro delle truppe statunitensi dal territorio afghano con conseguente restaurazione del regime
talebano, per un confronto sul tema a vent’anni di distanza tra l’inizio e la fine dell’occupazione americana.
Afghanistan è un’opera monumentale nella quale viene proposta una problematizzazione della rappresentazione della
guerra, offrendo differenti prospettive che ne complicano la lettura, spesso unilaterale, proposta dai mass-media
occidentali. Al paesaggio onirico e quasi caricaturale di un pastore con il suo gregge, non immediatamente riconducibile
all’immaginario di guerra, è accostata una cornice che “inquadra” la scena all’interno di un contesto marziale, mettendo
in luce le dinamiche di profitto economiche.
La cornice presenta infatti, sulla parte alta, il nome “Afghanistan”, che viene da noi immediatamente associato al tema
della guerra come pochi altri paesi e, sulla parte bassa, in maniera provocatoria, il nome di tre sport tipicamente
occidentali “Golf”, “Tennis” e “Surf”, a sottolineare la dimensione di profitto del conflitto. A rimarcare questa dinamica,
è anche il fatto che le parole siano tessute in lana, quasi a creare una linea diretta tra il gregge rappresentato all’interno
della cornice e le attività ludiche a noi vicine.
Il lavoro si presenta quindi come una sorta di manifesto turistico vintage paradossale, le cui contraddizioni erano e
rimangono ad oggi irrisolte.
Rob Birza (Geldrop, Paesi Bassi, 1962). Vive e lavora ad Amsterdam.
Le sue opere sono state esposte in numerose mostre personali e collettive sia a livello nazionale sia internazionale e
fanno parte di diverse collezioni pubbliche e private.
Tra le sue mostre personali ricordiamo “From the blue play till shifting circles”, De Nederlandsche Bank, Amsterdam, NL
(2016); “Cold Fusion 2000”, Stedelijk Museum, Amsterdam, NL (2000); “Cosy Monsters from Inner Space (the drawings)”,
De Pont Foundation, Tilburg, NL (1998); “REAL. My Fucking Kangaroo is damn right!”, De Vleeshal, Middelburg, NL
(1994); “Birza”, Stedelijk Museum, Amsterdam, NL (1991).
15.09.2021 - 27.11.2021
opening: 14.09.2021
15.09.2021 - 27.11.2021
La cornice presenta infatti, sulla parte alta, il nome “Afghanistan”, che viene da noi immediatamente associato al tema della guerra come pochi altri paesi e, sulla parte bassa, in maniera provocatoria, il nome di tre sport tipicamente occidentali “Golf”, “Tennis” e “Surf”, a sottolineare la dimensione di profitto del conflitto. A rimarcare questa dinamica, è anche il fatto che le parole siano tessute in lana, quasi a creare una linea diretta tra il gregge rappresentato all’interno della cornice e le attività ludiche a noi vicine.
Il lavoro si presenta quindi come una sorta di manifesto turistico vintage paradossale, le cui contraddizioni erano e rimangono ad oggi irrisolte.
22.09.2020 - 27.02.2021
opening: 10.12.2020
22.09.2020 - 27.02.2021
La Galleria Giorgio Persano inaugura il nuovo spazio di via Stampatori 4 con la personale di Costas Varotsos “Europa 2”. Il percorso espositivo si sviluppa intorno ad un’opera centrale, dalla quale trae il titolo la mostra, che vede rappresentate le 27 bandiere degli Stati membri dell’Unione Europea, stampate a grandi dimensioni su vetro ed infrante sul pavimento. Con questa immagine dell’UE andata in pezzi, l’artista greco restituisce una lucida rappresentazione del rischio della sua dissoluzione e del suo rapporto precario con il resto del mondo.
(Costas Varotsos, Europa 2, 2020, stampe digitali su vetro, dimensioni variabili, Courtesy Galleria Giorgio Persano)
Per Varotsos “L’Unione Europea – per quanto un’idea geniale – è ora minacciata da forze centrifughe che non sappiamo davvero dove porteranno. Per anni nascondevamo le cose sotto il tappeto, ma ora la situazione sembra essere fuori controllo: è un momento critico, è come se portassimo la bandiera della Comunità Europea e ci cadesse di mano”. Come di consueto, Varotsos predilige il vetro, che invade il nuovo spazio della galleria, creando un’immagine inquietante ed immediatamente riconoscibile nei colori delle bandiere. Se i lavori dell’artista sottendono sempre una potenzialità di creazione, scomposizione e ricomposizione, qui “Europa 2” diviene un atto politico, una presa di posizione sociale. La lettura dell’installazione è quindi chiara e inequivocabile, ma nella sua oggettività sembra anche alludere ad un messaggio di speranza: la distruzione degli individualismi nazionali, se avviene su un orizzonte comune, può aprirsi alla possibilità di una più alta ricomposizione dei suoi singoli frammenti.
Nello stesso periodo viene esposta una selezione di quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto tratti dalla serie “Comunicazione” e presentati in galleria, nell’ex Opificio Pastiglie Leone, nell’ottobre 2018.
(Michelangelo Pistoletto, Smartphone giovane donna 6 movimenti A, 2018, serigrafia su acciaio inox supermirror, 250 x 125 cm, Photo Nicola Morittu, Courtesy Galleria Giorgio Persano)
Nelle opere scelte per questo evento, le figure sono rappresentate intente in conversazioni con i loro smartphones. Chiuse nei loro gesti, le donne ritratte portano ancor più lo spettatore a ricercare un dialogo con esse, che non sia mediato dalla tecnologia. Gli specchi di Pistoletto continuano così a registrare non soltanto il contemporaneo, ma anche l’attualità, quella viva e immediata del riflesso, per diventare infine documento storico per il futuro.
(qui sotto foto di copertina)
(Costas Varotsos, Europa 2, 2020, stampe digitali su vetro, dimensioni variabili, Courtesy Galleria Giorgio Persano)
01.01.2020 - 01.01.2020
opening: 01.01.2020
01.01.2020 - 01.01.2020
Siamo lieti di informarvi che la galleria si sposterà di sede: ad inizio anno ci trasferiremo a Palazzo Scaglia di Verrua, in via Stampatori 4, Torino.
24.05.2019 - 16.11.2019
opening: 24.05.2019
24.05.2019 - 16.11.2019
La Galleria Giorgio Persano presenta la personale di Paolo Cirio Systems of Systems. Da oltre quindici anni, l’artista concettuale, hacker e attivista politico, attraverso le sue opere indaga i temi della privacy, del potere, dell’economia e della proprietà intellettuale nella società dell’informazione. Con questa mostra, ispirata alle esposizioni Information al MoMA e Software al Jewish Museum nel 1970, Cirio investiga l’ambiente socioeconomico contemporaneo.
Le opere selezionate per lo spazio di Via Principessa Clotilde affrontano gli attuali sistemi politici, tecnologici, economici e culturali attraverso modelli interventistici e utopici. Cirio riformula le critiche all’informazione radicate nella prima arte concettuale, introducendo i diagrammi di flusso come mezzo artistico e forma visuale. Nell’era degli algoritmi, dei big data e delle reti onnipresenti, vengono così esplorati i vari aspetti della tecnologia dell’informazione che influenzano ogni ambito del nostro quotidiano.
I diagrammi di Cirio raffigurano quindi non soltanto le forze della creazione, della conoscenza e dell’intermediazione della realtà nella società dell’informazione, ma si trasformano in oggetti estetici, immagini di operazioni all’interno delle reti di sistemi e flussi sociali, finanziari e linguistici.
Sostiene l’artista che “…lavorando spesso a livello pratico e teorico con i diversi aspetti della manipolazione d’informazione, inevitabilmente ho l’impressione di maneggiare qualcosa di quasi tangibile e di poterlo modellare conferendogli forme diverse”: il carattere schematico e funzionale del diagramma di flusso finisce così con l’incarnare la quintessenza dell’inesorabilità dell’ordine tecnocratico e, circumnavigando visivamente i canoni artistici, propone una inedita rappresentazione del nostro tempo.
Paolo Cirio (Torino, 1979). Vive e lavora a New York, U.S.A. Cirio lavora con i sistemi legali, economici e culturali della società dell’informazione. La sua pratica artistica indaga in che modo la società contemporanea sia influenzata dalla distribuzione, dall’organizzazione e dal controllo dell’informazione, rappresentandone i conflitti, le contraddizioni, l’etica, i limiti e le sue potenzialità.
Il suo lavoro è stato presentato in importanti istituzioni, tra le quali si ricordano: Gwangju Biennale, 2018; Strasburg Biennale, 2018; Benaki Museum, Athens, 2018; MIT Museum, Boston, 2017; Tate Modern, London, 2017; C/O Berlin museum, 2017; Museum für Fotografie, Berlin, 2017; Münchner StadtMuseum, 2017; Musée National d’Histoire et d’Art of Luxembourg, 2017; Haifa Museum of Art, 2017; International Kunstverein Luxemburg, 2016; ICP Museum, NYC, 2016; Gaîté lyrique, Paris, 2016; China Academy of Art, Hangzhou, 2015; Somerset House, London, 2015; Artium Museum, Vitoria-Gasteiz, 2015; Het Nieuwe Instituut, Rotterdam, 2015; Utah MoCA, 2015; Vancouver Art Gallery, 2015; Cenart, Mexico, 2015; Kasseler Kunstverein, Kassel, 2015; Victoria and Albert Museum, London, 2014; The Photographers’ Gallery, London, 2014; Open Society Foundation, NYC, 2014; TENT, Rotterdam, 2014; DOX Prague, 2014; MoCA Sydney, 2013; ZKM, Karlsruhe, 2013; CCCB, Barcelona, 2013; CCC Strozzina, Florence, 2013; MoCA Denver, 2013; MAK, Vienna, 2013; Architectural Association, London, 2013; Museum of Modern Art, Rio de Janeiro, 2012; Seoul Museum of Art, 2012; National Fine Arts Museum, Taichung, 2012; Wywyższeni National Museum, Warsaw, 2012; AEC Museum, Linz, 2011; SMAK, Ghent, 2010; National Museum of Contemporary Art, Athens, 2009; Courtauld Institute, London, 2009; PAN, Naples, 2008; MoCA Taipei, 2007; Sydney Biennal, 2007; and NTT ICC, Tokyo, 2006. Ha vinto numerosi premi, tra i quali il primo premio Golden Nica ad Ars Electronica a Linz, il secondo premio Transmediale a Berlino, l’Eyebeam Fellowship e NEA Grant con ISCP a New York.
Un ringraziamento a NOME Gallery – Berlin
19.10.2018 - 26.01.2019
opening: 18.10.2018
19.10.2018 - 26.01.2019
“Alla fine del mese di settembre 1976, invitato da Giorgio Persano a tenere una personale nella sua galleria, ho deciso di realizzare una mostra consistente in “100 Mostre nel mese di ottobre”. Come? Pensandole e descrivendole tutte in quel mese, e numerandole da una a cento, per essere subito stampate in un libretto (giallo) di 9 x 9 x 1,5 cm presentato in galleria come opera compiuta in sé, ma contemporaneamente estesa nel tempo a venire, cioè quando le mostre descritte avrebbero potuto essere eseguite, sia da me stesso sia da altri. Fino a oggi ho realizzato personalmente un certo numero di quelle mostre e altri artisti ne hanno preso lo spunto, come da un ricettario. Ora, dopo ventiquattro anni, una di esse viene attuata nella stessa Galleria Persano. Giorgio Persano ha fatto la scelta, da me condivisa, ed è la numero cento. Essa dice: La mostra sarà suggerita dal luogo. Il tempo è passato e dall’ottobre 1976 il mio lavoro ha percorso molta strada, fino alla creazione di una Fondazione denominata Cittadellarte, a Biella. Si tratta di una istituzione che pone l’arte in relazione diretta con i differenti settori che compongono la società attivando un processo di rigenerazione che si estende nella società stessa. La Galleria Persano ha nel frattempo cambiato collocazione e dimensione insediandosi in uno spazio ex industriale di Torino. Così ho fatto io stesso scegliendo un ex opificio tessile per dare luogo a Cittadellarte. Ora, con l’ultima delle cento mostre enumerate nel libretto giallo, estendiamo idealmente e praticamente il piccolo parallelepipedo 9 x 9 x 1,5 cm portandolo alla dimensione spaziale corrispondente ai luoghi e alle attività attuali, sia della Galleria sia della mia attività, oggi dedicata in gran parte alla Cittadellarte. Il mio lavoro continua a intrecciare nuovamente i tempi e gli spazi articolandosi in una fitta rete di interconnessioni e comunicazioni. Le porte di Cittadellarte installate nella Galleria mettono in comunicazione diciassette stanze che suddividono l’intero spazio espositivo e rappresentano altrettanti settori della compagine sociale. Comunicazione è infatti il titolo che ho assegnato a questa centesima mostra del libretto giallo. Essa tuttavia non si limita a un unico luogo, si articola bensì in due luoghi. Nel secondo luogo, separato ma non lontano dal primo, è esposto un gruppo di Quadri Specchianti, specificamente realizzato sul tema della comunicazione. I Quadri Specchianti continuano a essere memoria storica di momenti apparsi nello specchio della vita, compresi quelli attuali. Oggi il fenomeno della comunicazione ha assunto caratteristiche e dimensioni inimmaginabili fino a qualche decennio fa. Un piccolo telefono tascabile ci mette istantaneamente in rete con il mondo intero. I Quadri Specchianti, come computer antelitteram, sono allo stesso tempo il presente e la memoria. Inoltre queste opere esposte sono dei selfie in quanto ritraggono la persona con tutto ciò che sta alle spalle. L’umanità è ormai tecnologicamente collegata, fino al punto da rendere precaria la comunicazione interindividuale fuori dal sistema tecnologico. I lavori in mostra non hanno funzione né apologetica né critica, semplicemente documentano lo stato delle cose. Dobbiamo tuttavia constatare che la comunicazione ha anche un risvolto, ed è l’incomunicabilità. Per questo diviene impellente sviluppare una dimensione inedita che connetta il lato positivo e il lato negativo dei processi comunicativi trovando nuovi equilibri nei rapporti tra la natura e l’artificio, tra le persone singole e la società, come visualizzato nelle porte di Cittadellarte.” Michelangelo Pistoletto, agosto 2018 A racconto di un rapporto intrapreso quasi 50 anni fa, Michelangelo Pistoletto inaugura alla Galleria Giorgio Persano una mostra che si sviluppa in un doppio percorso: una grande installazione concettuale che occupa completamente lo spazio di via Principessa Clotilde e un’esposizione di numerosi quadri specchianti nell’adiacente ex Opificio Pastiglie Leone. Galleria Giorgio Persano L’installazione in Via Principessa Clotilde è un omaggio all’operosità umana e una forte dichiarazione d’intenti da parte di Pistoletto. Una struttura in legno grezzo si articola a formare diciassette spazi aperti e che rappresentano i diversi ambiti della società. Queste cellule, pur indipendenti, fanno parte di un unico organismo e, interconnesse, compongono il sistema che congiunge arte e società. Ex Opificio Pastiglie Leone La mostra prosegue negli spazi dell’ex Opificio Pastiglie Leone, luogo storico dell’industria torinese. Qui, le relazioni umane sono mostrate nella loro luce più contemporanea. Una serie di quadri specchianti fissa momenti di conversazioni quotidiane mediate da dispositivi digitali. I soggetti rappresentati paiono isolarsi nei loro gesti, portando ancor più lo spettatore a ricercare un dialogo con essi. L’arte di Pistoletto si sviluppa dunque nella comunicazione, sia attraverso una costruzione architettonico-simbolico-concettuale, sia attraverso sequenze di immagini che rappresentano l’oggi, il tempo. MICHELANGELO PISTOLETTO COMUNICAZIONE. Le porte di Cittadellarte dal 18.10.2018 al 26.01.2019 opening 18 ottobre 2018, ore 18.00 • Galleria Giorgio Persano via Principessa Clotilde 45 – Torino martedì-sabato, 10 – 13 / 15.30 – 19 e su appuntamento • Ex Opificio Pastiglie Leone corso Regina Margherita 242 – Torino martedì-sabato, 15.30 – 19 e su appuntamento GALLERIA GIORGIO PERSANO www.giorgiopersano.org info@giorgiopersano.org +39 011 835527 contatto stampa: Giulia Turcati + 39 320 2763011
04.05.2018 - 27.07.2018
opening: 03.05.2018
04.05.2018 - 27.07.2018
LIDA ABDUL
Time, Love and the Workings of Anti-Love II
03.05 – 27.07.2018 | opening 03.05.2018, ore 17
Nell’ambito della prima edizione di Fo.To Fotografi a Torino, che si svolge a partire dal 3 maggio 2018, la Galleria Giorgio Persano è lieta di presentare una grande installazione di Lida Abdul dal titolo Time, Love and the Workings of Anti-Love II .
Nel 2010, durante uno dei suoi numerosi viaggi di ricerca nel suo paese, l’artista afgana ritrova una vecchia macchina fotografia ed una raccolta di centinaia di fotografie per passaporti appartenenti ad un fotografo di strada locale. Le immagini in bianco e nero, martoriate dal tempo, erano state scattate nell’arco di due decenni, durante l’imperversare della guerra.
Da questo recupero nasce Time, Love and the Workings of Anti-Love (2013), esposta per la prima volta alla Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona (2013) e Parigi (2014), in seguito alla Fondazione Merz di Torino (2015) e alla Biennale di Busan, in Corea del Sud (2016).
Dall’evoluzione dell’opera deriva il nuovo progetto espositivo: Time, Love and the Workings of Anti-Love II (2013-2017). Lida Abdul ha scelto di procedere con l’ingrandimento, in formato A4, di molti degli scatti dei passaporti raccolti, presentando così una carrellata silenziosa di stampe, la cui imperfezione ben incarna la precarietà di un paese.
Cercando di sottrarre all’oblio i volti di uomini, donne e bambini, ed evidenziando come lo strazio dovuto a decenni di conflitto marchi i tratti delle persone, così l’artista presenta il suo lavoro: voglio documentare l’esistenza di questi esseri umani, che si sono trovati faccia a faccia con qualcosa che non avevano strumenti per comprendere. Voglio che gli spettatori di queste fotografie riflettano su ciò che esse nascondono tanto quanto queste immagini svelano.
Alle centinaia di persone smarrite l’artista dedica un ‘canto’, che possiamo leggere sui muri della galleria, parole che descrivono il dramma di un popolo e la fatica e la sofferenza di chi decide di esserne testimone: (…) Dopo essersi sentiti più al sicuro in quel bozzolo buio e sottile che c’è tra voi e la macchina fotografica / Dopo esser stati in balia dei venti del deserto che accecano e bruciano gli occhi per farvi dimenticare / Dopo aver osservato quelle fotografie mai reclamate, domandandosi chi è ancora vivo e chi invece è solo un fantasma / Dopo aver cercato qualcuno che vi fotografasse / E quando i vostri sogni sono popolati da facce sconosciute / Allora è lo stesso, vivere, morire, sognare o amare / E vi raccontate quello che avete visto e immaginato / E quello che resta ancora da provare e da conoscere.
31.10.2017 - 27.01.2018
opening: 31.10.2017
31.10.2017 - 27.01.2018
Dal 31 ottobre 2017 al 27 gennaio 2018, la galleria Giorgio Persano propone una nuova mostra personale dell’artista austriaco Herbert Brandl.
“Voglio confrontarmi sempre soltanto con ciò che vedo, con la mia ottica. Non so mai dire di preciso ciò che trasmetto con i miei quadri. Posso solamente arrampicarmici su come su di una parete di roccia (…) dove si possono trovare crepe, acque, pietre o rifrazioni di luce”.
Nelle opere esposte, ben rappresentative dell’ultima produzione di Brandl, le qualità atmosferiche di una pittura gestuale e istintiva diventano per l’artista tocchi densi e materici, la scalata della montagna prende peso, assumendo forma concreta. Le vette si assottigliano fino a diventare contorno e, mostrando un’affinità con l’incisione orientale, il dipingere sembra divenire parte integrante di una pratica spirituale: la contemplazione della natura e della sua potenza.
Come scriveva Focillon: “L’eroismo visionario sta nel fissare le cose con tutte le loro rotture, deformazioni, eccezioni (…). In questa operazione di trasformazione-trasfigurazione del mondo in opera d’arte l’ossessione dei visionari si rivela essere creatrice: il mondo sensibile è punto di partenza e anche punto di arrivo, [l’artista] ha bisogno di entrarvi; non gli basta, ma gli è indispensabile; lo trasfigura, ma lo rispetta.”
Nei lavori in mostra il paesaggio si esprime in tutta la sua monumentalità e solitudine: a volte gli spazi aperti vengono abitati da misteriose creature – iene, orsi – immagini arcaiche forti, fiere e aggressive, padrone di luoghi senza uomini.
In galleria sono inoltre presenti tre grandi dipinti astratti, frammenti naturalistici raccolti dall’artista e qui restituiti come potenti e vibranti ingrandimenti, quasi macro-fotografie.
Lo spettatore si trova dunque immerso in un paesaggio che solo paesaggio non è, tra immagini perennemente in bilico tra figurazione e astrazione. Le pitture di Brandl sono quindi non soltanto uno spunto di riflessione sull’essenza della montagna, da vivere come esperienza sia estetica sia fisica, ma anche un momento di concentrazione, un interrogativo che si apre sulla percezione nell’arte, un invito a guardare alla tela “come ad uno specchio, più che ad una finestra” (Jan Hoet).