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28.05.2022 - 30.06.2022
opening: 27.05.2022
28.05.2022 - 30.06.2022
26.02.2022 - 10.04.2022
opening: 25.02.2022
26.02.2022 - 10.04.2022
La mostra collettiva a cura di Lóránd Hegyi, organizzata e ospitata dalla galleria Umberto Benappi Arte Contemporanea di Torino, presenta una selezione di opere di Gloria Friedmann, Paolo Grassino e Bernardí Roig che mettono lo spettatore di fronte a immagini intriganti, enigmatiche, eccentriche e irritanti ispirate al corpo umano o animale o meglio a creature organiche, ibride, estremamente vitali, inserite in scenografie teatrali strane, oniriche o spettacolari e in situazioni allucinate e psichedeliche. Queste travolgenti connotazioni letterarie, creano narrazioni attorno ai corpi o alle formazioni corporee, in parte per le loro suggestive evocazioni poetiche, in parte per le loro riserve immaginarie che comprendono fiabe liriche, incontri romantici con la natura e con il mondo animale, o esplosioni e tensioni, a volte anche conflitti, scontri aggressivi ed esperienze drammatiche di lotta permanente. Probabilmente questo sguardo nell’oscurità dell’anima umana ospita una lettura profonda dei corpi animati presenti in mostra, che aprono la strada verso un immaginario nascosto archetipico e mitologico.
Anche se le sculture e gli ambienti scultorei, a volte scioccanti ed irritanti, di Bernardí Roig mettono lo spettatore a confronto con situazioni di pesanti conflitti, di pressione insopportabile, di incapacità di difendersi, di angoscia e vulnerabilità, suggeriscono tuttavia anche un eroismo nascosto basato sul riconoscimento della resistenza e dell’intransigenza umana. L’opera di Bernardí Roig manifesta l’inevitabile potere che hanno le forze nascoste, sconosciute, misteriose, spesso negative, distruttive e spaventose e, allo stesso tempo, rivela orizzonti di una empatica comprensione delle possibilità di trovare le origini di una nuova autocoscienza e resistenza.
La radicale rivisitazione e reinterpretazione della tradizione scultorea europea nella rappresentazione del corpo umano e animale, nonché l’ampliamento offensivo delle competenze connotative di modellare le formazioni corporee, è stato per lungo tempo uno dei temi centrali dell’opera di Paolo Grassino. Attraverso la contestualizzazione del corpo umano o animale – o di frammenti di corpo – ha aperto la forma scultorea verso configurazioni teatrali ampie, spesso monumentali e drammatiche, che producono spazi tematici inquietanti, irrazionali, inconsci e incontrollabili di instabilità, incertezza, lotta per l’autodeterminazione e la sovranità. Questo aspetto eroico del combattimento e del conflitto, presta una certa connotazione romantica al suo lavoro mentre l’enigmatica incertezza, l’oscurità pittoresca e la favolosa ricchezza di avventure, incarnate nei suoi assemblaggi scultorei, rafforzano la sensazione di condivisione di un’esperienza, senza precedenti, di partecipazione ad un universo sconosciuto dominato da forze invisibili, incalcolabili, imprevedibili.
Mentre da un lato Paolo Grassino salvaguarda i metodi di rappresentazione quasi classica del corpo umano e conserva alcuni elementi basilari della grande tradizione mimetica dell’arte occidentale, dall’altra distrugge ogni convenzione compositiva classica e opera in modo eversivo attraverso la delegittimazione irreversibile di ogni classica coerenza spazio-temporale. Questa disorganizzazione quasi isterica e turbolenta, violenta e sovversiva destrutturazione di qualsiasi drammaturgia scultorea convenzionale, riempie la sua opera dell’inquietudine contemporanea per eccellenza, che evoca un sentimentalismo recentemente valorizzato e una partecipazione emotiva all’universo poetico virtuale incarnato nella sua opera. Questo immaginario teatrale, pesante, drammatico, irritante di conflitti e sacrifici, di paure e speranze, di lotte e dubbi, testimonia l’oscura complessità e l’impegnativa incertezza della nostra vita.
Anche l’approccio di Gloria Friedmann al corpo umano e animale, alle formazioni corporee organiche che imitano o evocano il corpo, rivela un modo differente di contestualizzazione – culturale, mitologica ed etnografica – del corpo, in cui la competenza simbologica dell’arte gioca un ruolo determinante. I suoi corpi sono modellati da un complesso processo di fusione di forme organiche, naturali, vivide con forme di diversa origine, sia organiche che inorganiche, ovvero fondendo corpi umani, o frammenti di corpi umani, con forme-simbolo rituali, culturali, magiche che traggono origine dal modello del corpo umano o animale. Dimostra una sorprendente strategia parallela, o meglio un doppio processo, di reciprocità. Da un lato, elabora a partire dall’oggetto rituale, magico, cultuale, dalla forma-simbolo, dal totem, dall’icona – il cui modello originario era un tempo il corpo reale, vivo, che si è sublimato fino a diventare un puro simbolo – e successivamente torna verso la vita, torna alla natura; rivitalizza la forma-simbolo, riempie di vita il totem, resuscita l’icona, così la forma-simbolo si trasforma in corpo vivente. Dall’altro lato, parallelamente alla trasformazione, l’artista elabora – partendo dal corpo reale, sensuale, vivo, concreto – la forma/simbolo impalpabile, la rende astratta, la deindividualizza e ne crea un totem. Nel processo di rivitalizzazione delle forme-simbolo rituali, magiche, non individuali, le separa dalla loro prassi rituale convenzionale – collettiva – in cui esse hanno svolto un ruolo ben determinato e le libera dal contesto della prassi magica, donando loro una nuova vita organica, una forma vivida, individuale, unica, un ruolo autonomo, che attira reazioni empatiche e provoca risposte emotive da parte dello spettatore.
Il momento profondamente sorprendente, e in qualche modo irritante, di queste strategie parallele è molto probabilmente il modo in cui Gloria Friedmann crea nuovi esseri autentici, vividi, organici e autonomi, fondendo i corpi creati da questi due processi di trasformazione reciproca. Mentre questi nuovi corpi ibridi indossano tutto il decoro dei loro potenziali ruoli culturali, rappresentando ancora un certo significato allegorico o magico e suggerendo funzioni rituali, allo stesso tempo appaiono come corpi viventi, sensuali, come esseri autonomi e organici, come parte della natura grande, illimitata e potente. Sono estremamente sensuali, suggeriscono vita e sentimenti, irradiano libertà, diffondono sovranità e dignità. In questo senso, non appartengono né al mondo astratto e impalpabile di simboli, totem o icone, né alla realtà materiale organica, vegetativa, inconscia, sensuale, elementare ma ad un altro luogo: ad un universo sconosciuto, immaginario, visionario, nutrito dalle energie spirituali e dall’immaginario illimitato.
Pur lavorando apparentemente all’interno della grande tradizione occidentale della rappresentazione mimetica del corpo, tutti e tre gli artisti in mostra mettono in discussione questa eredità attraverso il loro irritante e intrigante plasmare di nuove specie di esseri che prendono il loro posto con vitalità ed evidenza all’interno della nostra vita.
16.12.2021 - 29.01.2022
opening: 16.12.2021
16.12.2021 - 29.01.2022
Levia Gravia è una mostra collettiva di arte contemporanea, a cura di Francesca Canfora e Roberto Mastroianni, organizzata e ospitata dalla galleria Umberto Benappi Arte Contemporanea di Torino, che presenta un dialogo intergenerazionale tra le differenti poetiche di tre artisti, ormai consolidati protagonisti della scena nazionale e internazionale (Paolo Grassino, Domenico Borrelli, Carlo D’Oria), con tre giovani e promettenti artiste emergenti (Gisella Chaudry, Sacha Turchi, Guendalina Urbani), mettendo in scena un confronto tra approcci differenti, ma complementari, che pongono al centro la scultura intesa come pratica narrativa e sperimentazione sui materiali, le forme, le tecniche e i linguaggi del contemporaneo. Levia Gravia, delle cose leggere e delle cose pesanti, intende dunque indagare, attraverso la presentazione di alcune recenti opere scultoreo installative dei sei artisti, la dimensione plurale del reale e degli sguardi che su di esso si pongono al fine di afferrare, conoscere e comprendere il costituirsi di un mondo condiviso, in cui le narrazioni sociali, culturali e morali devono fare i conti con le differenza di genere, di classe e cultura e con la molteplicità delle forme e dei materiali, articolando quell’ossimoro che tiene insieme leggerezza e pesantezza e che caratterizza la presenza dell’umano nel mondo, in cui il “pesante” e il “leggero” convivono completandosi senza escludersi a vicenda. Cos’è LeviaGravia? In principio è un ossimoro, l’accostamento di due termini in contrapposizione, che tiene assieme il “grave” e il “lieve”, rimandando a quell’espressione latina, Levia Gravia (dagli aggettivi levis e gravis, entrambi con lo stesso significato giunto a noi nella lingua italiana), divenuta famosa per il titolo di una raccolta di poesie di Giosuè Carducci, pubblicata nel 1867 e ispirata a un verso dei Tristia di Ovidio, che indicava le cose leggere per sentimento, ma pesanti (difficili) da fare. In questa mostra l’ossimoro, figura retorica tra le più intriganti che la lingua possa utilizzare, diventa concetto operativo e curatoriale e viene utilizzata nella sua valenza metaforica ed enfatica, al fine di attirare l’attenzione dell’interlocutore e del fruitore e, al contempo, delineare lo spazio di una dimensione sospesa e senza nome, in cui è costretto a muoversi l’umano. La dimensione antropologica si trova, infatti, sempre circoscritta dalla pressione della pesantezza del reale (l’ambiente, la pressione delle pulsioni e degli stimoli, le impressioni, gli ostacoli, i pericoli del materico,…) e dalla leggerezza di aspirazioni, desideri, sogni, necessità, emozioni, progetti, facendo dell’uomo un animale teso tra l’immanenza e la trascendenza e sospeso in una dimensione simbolica e linguistica capace di mettere in forma il mondo. Il concetto espresso dal titolo, per quanto soggetto a molteplici interpretazioni e diverse sfumature, rimanda pertanto a quell’insieme possibile e necessario, reale e immaginario di “cose lievi” e “cose gravi” che convivono nel mondo umano e che danno forma alla dimensione antropologica individuale e collettiva. Le opere in mostra danno così vita a una narrazione figurale, in cui il lieve e il grave diventano cifra espressiva e poetica di artisti di diversa età, formazione e poetica che hanno nella loro carriera portato avanti una ricerca su forme e materiali, al fine di restituire inquietudini e aspettative dell’umano singolo e associato nella condizione socio-storica attuale e nella dimensione esistenziale generale che costringe questo animale, precario e fragile, a rapportarsi con un ambiente ostile facendolo diventare un mondo ospitale e abitabile. Lieve e grave, attributi di norma legati in modo stretto alla materia, al dato fisico, corporeo ed empirico, diventano così concetti operativi per dare forma a sculture e installazioni, che travalicano la dimensione prettamente materiale e fisica della realtà, diventando emblematiche di una condizione antropologica e ontologica dell’intersoggettività e della realtà. I due differenti aspetti della materia risultano qui, in modo astratto e ideale, equivalenti e paritetici, mostrando come il progresso e i cambiamenti socio-storici abbiano portato le arti contemporanee a esplorare linguaggi, materiali e forme che hanno superato la concezione tradizionale della scultura, storicamente associata a materiali “pesanti” e pregiati, in direzione di una metaforica “levitazione”, che attraverso l’uso delle nuove tecnologie e di materiali innovativi hanno impresso una svolta alla pratica scultorea, sancita in via definitiva dalle avanguardie storiche. Ciò permette di articolare una fisionomia della scultura caratterizzata da tratti installativi che prediligono accostamenti, accumulazioni e assemblage di materiali differenti, anche lievi, delicati e impalpabili come un soffio. La scultura ha iniziato così a cambiare forma e perdere peso in modo legittimo, mantenendo però inalterato il suo valore e la sua densità simbolica e significante; intercettando questa traiettoria diviene interessante indagarne le recenti evoluzioni, aprendo un confronto e un dialogo tra artisti e artiste di generazioni differenti. In questa prospettiva, tre scultori mid-career – Paolo Grassino, Domenico Borrelli e Carlo D’Oria – da sempre dediti a una scultura in cui massa e peso hanno giocato un ruolo di primo piano, sono qui affiancati da tre promettenti artiste emergenti – Gisella Chaudry, Sacha Turchi e Guendalina Urbani – che hanno assunto come principi cardine levità e delicatezza. In entrambi i casi, siamo di fronte a un’indagine sul senso della presenza umana nel mondo, sulla dimensione antropologica e sulle forme dell’espressione che permettono agli artisti di indagare l’inquietante, fragile e precaria condizione umana (Grassino e D’Oria), la dimensione strutturale della realtà e della corporeità (Borrelli, Grassino e D’Oria), le forme della realtà nel loro divenire e nella loro emersione simbolica (Chaudry, Grassino, D’Oria) e l’indagine sul movimento, la leggerezza dei materiali e la densa potenza simbolica del linguaggio e dei segni (Chaudry, Turchi, Urbani), che danno forma al nostro mondo condiviso. Tutti gli artisti presenti in mostra hanno sperimentato nella loro pratica e nella loro carriera materiali e tecniche differenti per rispondere alla sfida di rendere, con i linguaggi del contemporaneo, sensata e significativa la presenza dell’azione umana, sia nei suoi elementi strutturali ed esistenziali, sia nei sui elementi socio-storici, culturali e intersoggettivi. Questa mostra vuole essere la presentazione di una selezione di opere e temi che caratterizzano la poetica dei sei artisti, nei loro recenti sviluppi, dando forma a una complessa narrazione figurale che racconta quello spazio indefinito tra “cose leggere” e “cose pesanti” che danno vita allo spazio esistenziale dell’uomo, indagandone strutture, forme ed evoluzioni