Gallery
Via Bernardino Galliari, 15/C
10125 Torino
Opening time from Tuesday to Saturday, 3.30 – 8 pm only by appointment
Directors
Emanuela Romano +39 349 3509087
Valentina Bonomonte +39 393 4317956
Fondata nel giugno 2019, A PICK GALLERY è una galleria d’arte contemporanea che, come suggerisce il nome, si focalizza sulla ricerca e selezione di artisti, emergenti e affermati, nel panorama internazionale.
La galleria si dedica alla ricerca di nuovi linguaggi artistici, curando regolarmente mostre personali e collettive, cataloghi e producendo eventi in collaborazione con altre gallerie e organizzazioni. La selezione degli artisti mira a creare una forte identità, con un’attenzione alle pratiche artistiche contemporanee che colleghino diverse aree geografiche e culturali, sviluppando anche approfondimenti su temi determinanti della nostra società.
Lo spazio di circa 300 metri quadrati, situato nel centro di Torino, permette di lavorare anche all’allestimento di mostre site specific.
Exhibits
06.05.2022 - 18.06.2022
opening: 05.05.2022
06.05.2022 - 18.06.2022
Tuesday-Saturday 3.30-8 pm
Il corpo caratterizza l’individuo, la persona. “Persona” indica l’individuo, non solo come un corpo preso nella sua totalità, ma, facendo riferimento all’origine del termine, anche maschera teatrale; la maschera infatti è qualcosa di spirituale che aderisce al corpo stesso. Personaggio e corpo quindi si equivalgono, nel senso che si può affermare che il corpo sia la fisicità dell’anima e che inevitabilmente interpreti un ruolo.
Body frame è un focus sulla complessità del corpo che viene indagato, messo a nudo, truccato, nascosto, modificato, travestito, mostrato. Il corpo messo in cornice diventa narrazione, tenta di eliminare ogni orpello per mostrare l’essenza che è poi pura astrazione. Il corpo sociale immortalato mentre recita, travolto dalle mode, nasconde cicatrici e fragilità. Ed anche corpi che sono materia di rivendicazioni sociali. Materia che si fa alter ego dell’individuo. Fotografie di fotografie che fissano frame di vita.
La serie di Carola Allemandi (Torino, 1997) propone un mix di ombre e luci, racconta l’oscurità che si annida negli angoli di un corpo. La sua è un’operazione poetica in cui i corpi con le loro posizioni assumono forme che l’artista registra ed espone alla luce, per svelare all’osservatore aspetti inediti.
Con Passport Photo (Do’s & Don’ts) Nadia Gohar (Cairo, Egitto, 1989) propone 25 foto- tessere “imperfette”, in ognuna ritroviamo abbigliamenti o accessori che non possono apparire in documenti ufficiali. Attingendo dalla sua esperienza per ottenere la cittadinanza canadese, Gohar ha rimesso in scena gli errori che avrebbero revocato la sua domanda, mettendo in discussione le nozioni di paura e pregiudizio incorporate nell’esibire la propria identità nazionale e sé stessa.
Con la serie, Galatea, Esmeralda Kosmatopoulos (Thessaloniki, Grecia, 1982) esplora la percezione dell’identità – la nostra e quella degli altri – e la relazione tra la coscienza dell’individuo e il corpo fisico nella sua materialità, visto come una combinazione di carne, pelle e ossa. Galatea (Γαλάτεια) era il nome della statua scolpita in avorio da Pigmalione, che poi prese vita nelle Metamorfosi di Ovidio. In quel mito, la mano di un uomo ha creato un oggetto a forma di corpo di donna e alla fine ha trasformato questo corpo-oggetto in una persona reale.
Carola Allemandi, Nadia Gohar, Esmeralda Kosmatopoulos, Urs Lüthi, Silvia Margaria, Şükran Moral, Helmut Newton, Steve Panariti, Irene Pittatore, Mario Schifano, Max Tomasinelli, Miro Trubač, Davies Zambotti.
Urs Lüthi (Kriens, Svizzera, 1947) con i suoi vari alter ego e gli autoritratti androgini solleva questioni sull’identità attraverso l’utilizzo del corpo. Volti incerti tra maschile e femminile, corpi assorbiti dall’oscurità di fondo. Lüthi gioca con l’aspetto ludico e tragico dell’essere umano, mostra il suo corpo e quello del pubblico di fronte alle sue fotografie.
Con la serie inedita Fragile Citizens Silvia Margaria (Savigliano, Cn, 1985) propone scatti di riproduzioni di sculture classiche illuminate da luce ultravioletta, solitamente usata in archeologia e restauro per rendere visibili le imperfezioni o la presenza di materiali non originali. Le copie in gesso in gipsoteca, nella loro evidente fragilità, sembrano apparentemente perfette sotto la luce ultravioletta. Il contrasto tra la riproduzione in duplicati di queste figure e il concetto di perfezione, resta sospeso intorno a un’idea di fragilità, quale elemento costitutivo del nostro presente.
L’artista turca Sukran Moral (Terme, Turchia, 1962) nel 1994 fotografa sé stessa in croce come Gesù Cristo e attraverso la performance messa in atto e immortalata dalla foto, racconta le relazioni nella società turca, denuncia in maniera forte la violenza sulle donne e le discriminazioni nei confronti delle minoranze, con uno sguardo che abbraccia Oriente e Occidente. Con le performance, nelle sue opere video e fotografiche, l’artista spende tutta sé stessa, la propria storia personale e professionale utilizzando spesso il proprio corpo. Helmut Newton (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) seduce lo spettatore con fotografie provocanti in cui non è il soggetto, ma il modo stesso in cui viene immortalato a diventare oggetto del desiderio. Affronta anche lui il principio dello “svelare occultando” e del rapporto tra luce e ombra sul corpo umano.
Irene Pittatore (Torino, 1979) lavora sulla consapevolezza di sé attraverso la fotografia; si avvale anche del metodo performativo tentando di dare forma a quegli aspetti in perenne evoluzione. Con il progetto You as me / Nei panni degli altri celebra la vulnerabilità, il potenziale politico e poetico di ogni corpo che si espone e allo stesso tempo si sottrae, anche solo temporaneamente, ai diktat sociali di ruoli, categorie di genere e status.
I soggetti delle fotografie di Steve Panariti (Torino, 1977) sono quasi sempre abitanti senza nome di spazi marginali. Da qui costruisce un discorso su ciò che di solito è in secondo piano, fuori dal frame, rendendo l’oggetto crudamente protagonista. La fragilità dell’assenza svela la parte difettosa del corpo, capace di sporcarsi e che non ha vergogna di mostrarsi. Ciò che di prassi non piace, quell’angolo di noi che vogliamo tenere nascosto, che esiste ma non si può far vedere.
Mario Schifano (Homs, Libia, 1934 – Roma 1998) influenzato dalla pop art americana, negli anni ’80, lavorò alla serie “Cosmesi”, dove immortalò una serie di corpi di donna, intervenendo sulla fotografia con un finto “make up” fatto a mano con pennarelli e pellicole colorate. Corpi di donne vagamente riconoscibili, frammentati e tuttavia carichi di energia e di desiderio.
Per Max Tomasinelli (Torino, 1971) la memoria è composta di ricordi nitidi, come fossero fotografie. Così la sua serie di collage racconta per frammenti la sua vita e le sue esperienze, la contaminazione di due mondi, l’arte e la moda, indagando il rapporto tra l’uomo e lo spazio. La sua ricerca riflette attorno al valore del linguaggio, delle immagini e del loro potere comunicativo.
Il lavoro di Miro Trubač (Trnava, Slovacchia, 1986) è caratterizzato da un profondo interesse per le relazioni. Attraverso scultura e fotografia cerca di raccontare storie che spesso attingono ai suoi ricordi e a situazioni che sembrano paradossali, assurde e irrisolvibili. La sua ricerca si concentra sull’ambiente familiare, su ciò che lo circonda e sulle esperienze personali.
Così il corpo è spesso al centro dei suoi lavori e viene modificato, alterato, andando a sottolineare la posizione dell’essere umano nella società, la sua solitudine o la sua confusione.
Davies Zambotti (Torino, 1980) tenta di spostare lo sguardo su spazi dove l’incertezza diventa l’habitat della vita umana. Ispeziona gli interstizi del quotidiano portando a galla ciò che si vorrebbe nascondere, che fa sentire fragili. Nella serie in mostra i corpi rappresentano lo stato d’animo interiore, il silenzio, l’ombra, la memoria e le dissonanze percepite dall’artista.
La mostra sarà visibile fino al 18 giugno 2022.
10.02.2022 - 30.04.2022
opening: 09.02.2022
10.02.2022 - 30.04.2022
Alejandro Bombín (Madrid, 1985) si ispira alla pop art e alla nuova figurazione; la sua pittura è una riflessione sull’archeologia delle immagini che fanno parte di una sua personale “programmazione visiva”. Lavora su documenti con alterazioni tipiche del tempo trascorso e indaga immagini abbandonate (foto di album, cartoline, libri scientifici obsoleti) creando una sorta di ponte tra errori digitali e mentali, regalando allo spettatore la possibilità di perdersi tra deformazioni e colori.
Con la mostra Romance Bombín mette in scena un dialogo tra finzione e relazione affettiva.
La dimensione simbolica del “romanzo” allude sia all’inerzia ideologica della tradizione, sia alla forza della tecnologia riproduttiva dell’immagine contemporanea.
l tratti distintivi di questa mostra sono la rima, la rottura e l’allitterazione; come in un romanzo le opere pittoriche che ne fanno parte contengono glitch, ossia il generarsi di errori nella riproduzione digitale.
Il glitch, solitamente definito come discrepanza tra previsione e risultato, ci permette di osservare la rottura del codice quale linguaggio cifrato di un canale di comunicazione.
Questo tipo di errore si presenta in questo caso come un’interruzione nella riproduzione automatica di modelli e schemi prestabiliti.
In Romance quindi Bombín presenta un’intima appropriazione dell’immagine “romantica” attraverso la pittura, che allude alla necessità di riformulare costantemente i legami affettivi per evitare che la fiamma dell’amore si spenga e per fronteggiare l’insufficienza di prospettiva in una realtà fortemente antropizzata.
Alejandro Bombín (Madrid, 1985) draws inspiration from pop art and new figuration; his painting is a reflection on the archeology of images that are part of his personal “visual programming”. He works on documents with alterations of elapsed time and investigates abandoned images (albums photos, postcards, obsolete scientific books), creating a kind of link between digital and mental mistakes, allowing the viewer to get lost in shape and colors alterations.
In the exhibition Romance Bombín creates a dialogue between fiction and emotional relationship. The symbolic dimension of the “novel” alludes both to the ideological inertia of tradition and to the strength of the contemporary image reproduction technologies.
Rhyme, rupture and alliteration are the distinctive peculiarities of this exhibition; as in a novel, the works contain glitches, as a generation of errors in digital reproduction. The glitch, usually defined as a discrepancy between prediction and outcome, allows us to observe the breaking of the code like an encrypted language of a communication channel. In this case, such mistake appears as an interruption in the automatic reproduction of pre-established models and structures.
With the painting in Romance Bombín presents an intimate appropriation of the “romantic” image, which alludes to the need to constantly reformulate emotional ties to prevent the flame of love, from extinguishing and resist to the insufficiency of perspective in a strongly anthropized reality.