Gallery
Via Bernardino Galliari, 15/C
10125 Torino
Opening time from Tuesday to Saturday, 3.30 – 8 pm only by appointment
Directors
Emanuela Romano +39 349 3509087
Valentina Bonomonte +39 393 4317956
Fondata nel giugno 2019, A PICK GALLERY è una galleria d’arte contemporanea che, come suggerisce il nome, si focalizza sulla ricerca e selezione di artisti, emergenti e affermati, nel panorama internazionale.
La galleria si dedica alla ricerca di nuovi linguaggi artistici, curando regolarmente mostre personali e collettive, cataloghi e producendo eventi in collaborazione con altre gallerie e organizzazioni. La selezione degli artisti mira a creare una forte identità, con un’attenzione alle pratiche artistiche contemporanee che colleghino diverse aree geografiche e culturali, sviluppando anche approfondimenti su temi determinanti della nostra società.
Lo spazio di circa 300 metri quadrati, situato nel centro di Torino, permette di lavorare anche all’allestimento di mostre site specific.
Exhibits
30.06.2022 - 03.09.2022
opening: 29.06.2022
30.06.2022 - 03.09.2022
INSIDE/OUTSIDE fa parte della rassegna annuale che è nata tra i locali di A PICK GALLERY nel 2021 con l’intento di lavorare fuori e dentro la galleria, nei territori urbani limitrofi e non solo. La collettiva è la seconda edizione della rassegna, quest’anno a cura di Refreshink, che vede la partecipazione di 108, CT, Etnik, Mach 505, Refreshink, Reser, Seacreative e Ufocinque.
“Questa mostra corale – scrive Cristina Trivellin – propone un singolare gruppo di artisti legati da un importante denominatore comune, ovvero la provenienza dal mondo dei graffiti. Artisti i quali, condividendo spesso il “campo da gioco” – dalle hall of fame ai muri all’aperto, dalle vecchie fabbriche abbandonate alle gallerie – hanno portato avanti la propria ricerca, in alcuni casi restando fedeli alle “lettere” del graffiti writing, in altri mutando radicalmente la cifra stilistica.
È proprio questo processo, che porta a esiti del tutto eterogenei, il cuore pulsante della mostra, dove si evidenzia il movimento rizomatico che dai primi interventi con gli spray arriva a originali soluzioni stilistiche dialoganti con l’illustrazione, la grafica, il mosaico, la scenografia, l’informale, il 3D.
Ufo cinque passa dalla solidità del muro alla leggerezza delle candide installazioni in carta ritagliata che creano mondi onirici e lontani, come i borghi medievali resi con tratti essenziali ed elementi contemporanei. Inconfondibile lo stile di 108, in un percorso che va dal lettering al numering fino alla sintesi estrema e astratta racchiusa in campiture cromatiche dense di significato. Agli antipodi si collocano i personaggi usciti dalla mente creativa e dalla sapiente mano di Sea creative, grotteschi e ironici, fumettistici quanto basta per potercisi identificare.
Il puro graffiti writing è egregiamente rappresentato da Reser, che con il suo studio infinito e maniacale delle lettere e lo stile fluido e veloce si conferma un vero e proprio ‘maestro’. Nel lavoro di Etnik, invece, se si ravvisa la fede stilistica al 3D (uno dei principali generi del writing), nello stesso tempo si coglie l’evoluzione verso sempre più sofisticati paesaggi urbani costruiti su solide strutture geometriche che paiono porsi in antitesi alla fragilità umana.
Anche Mach 505 ricorre alla geometria ma per costruire una sorta di ‘mitologia urbana’ composta sovente da animali ancestrali o da soggetti ricchi di riferimenti simbolici.
A completare la straordinaria ‘jam session’ artistica, troviamo le linee decise e impeccabili di CT, un universo nitido di segni che, per analogia o contrasto riescono a dialogare con il contesto urbanistico e architettonico.
Un posto a parte va riservato a Refreshink, artista e in questo caso anche curatore: tanto studio sul campo, una ricerca partita dal lettering, passata attraverso universi figurativi popolati da fiori sensuali e animali fieri e imponenti, che oggi approda al recupero pittorico dell’antica tecnica del mosaico, rivista e reinterpretata in chiave decisamente ‘pop’.”
La mostra è visibile fino al 3 settembre 2022. Hosting partner Tomato Urban Retreat, Torino.
Ad agosto la galleria sarà aperta su appuntamento.
A luglio e a settembre l’orario di apertura sarà regolare, dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 20.
BIOGRAFIE
Guido Bisagni, in arte 108, nasce ad Alessandria nel 1978. Nel 1990 conosce lo skateboard tramite il quale viene in contatto con il punk e le altre sottoculture underground che caratterizzano il decennio, ma anche i graffiti. Nel 1997 si sposta a Milano per frequentare il politecnico e li conosce le avanguardie del ‘900 e soprattutto i testi di artisti come Malevich e Kandinsky e le sperimentazioni sonore di Russolo che lo influenzano profondamente. Continuare a dipingere sulle superfici pubbliche ma con uno stile personale più “europeo”, unisce l’esperienza del writing alle idee dei primi astrattisti e all’estetica punk e post industriale. Oltre che sui muri, lavora su supporti più classici come carta e tela, la scultura, ma utilizza anche il suono, la fotografia e il video tenendo sempre centrale la ricerca sia estetica che filosofica. Lo pseudonimo numerico che l’artista usa fino dalla fine degli anni ’90 simboleggia il ruolo spirituale che per l’arte ha per lui.
CT è Matteo Ceretto Castigliano. Guardando i suoi lavori si notano le sottigliezze, i piani sovrapposti e gli spazi in negativo. La semplificazione della forma letterale visibile nei suoi primi lavori si è evoluta in una fase 3D. Si potrebbe dire che la sua ricerca si è spogliata di ciò di cui non aveva bisogno per trovare qualcosa di nuovo. Lavora in spazi abbandonati, alla ricerca della tela perfetta con il giusto potenziale per creare un contrasto con il suo segno minimal. Il concept iniziale parte dalla struttura delle lettere e le forme decostruite portano poi al minimalismo dei graffiti. Il silenzio spicca nel suo lavoro, con la raffinata completezza della forma in un spazio imperfetto.
Etnik è nato a Stoccolma (Svezia); vive e lavora a Torino. writing sin dai primi anni ’90, dal 2001 il suo modo di dipingere si evolve verso forme Attivo nella scena graffiti geometriche e architettoniche, partendo dal lettering che diviene la base su cui imposta l’intero impianto concettuale e compositivo della sua ricerca artistica. La trasformazione delle lettere che compongono il suo nome in masse geometriche, sono lo spunto su cui costruire moduli architettonici che s’intersecano violentemente su piani opposti e punti di vista spiazzanti per rappresentare un cemento sempre più costrittivo e un equilibrio sempre più precario nella vita quotidiana di tutti. Agglomerati urbani ed elementi naturali che fluttuano in uno spazio indefinito appresentano le contraddizioni degli spazi urbani in cui viviamo. Oggi lavora nel suo studio a Torino, viaggiando molto per realizzare wall paintings di grandi dimensioni e partecipare ad esposizioni in gallerie in tutto il mondo.
Mach 505, Marco Cimberle (Torino, 1982), nato come partner del noto Truly Design Studio, ha un approccio al disegno chiaramente tecnico e funzionale, ma allo stesso tempo creativo e ispirato all’ambiente circostante.
Il suo obiettivo è sviluppare effetti ottici su ogni supporto possibile, grafica, illustrazione, scultura, pittura, video. Geometria, simbologie e tecnicismi sono il suo carburante per graffiti e anamorfismi.
Refreshink (Giovanni Magnoli) nasce ad Arona (Novara) nel 1971. Agli inizi degli Anni Novanta si appassiona al mondo dei graffiti, maturando le sue prime esperienze in strada con i compagni di crew. Col passare del tempo, giunge alla definizione di un peculiare stile, fuori dagli stilemi classici del graffito (lettere, puppet) verso linguaggi più stratificati, attraverso spray e tecniche miste. A partire dal 2000 inizia a dipingere nei luoghi abbandonati, contesti che lo portano a reinterpretare soggetti legati al mondo naturale: nel 2009 realizza il suo primo “gallo”, al quale seguono altri suggestivi animali dipinti a colori sgargianti, colature, giustapposti a elementi formali, come figure geometriche e scritte. Dal 2004 inizia la sua attività espositiva, tra mostre personali, collettive, festival nazionali e internazionali.
Reser vive e lavora a Torino. Ha iniziato a dipingere graffiti nell’estate del 1994, prendendo ispirazione dalle pareti e dipinti lungo le ferrovie durante i suoi viaggi a Parigi e Amsterdam in treno. A quei tempi non era comune vedere graffiti a Torino, ma il suo incontro con Spyder, scrittore che è stato uno dei primi della scena dei graffiti di Torino, lo ha portato all’uso metodico della bomboletta.
È membro della crew di Tot’s dal 1997 e della crew di graffiti internazionali di Love Letters.
Fabrizio Sarti nasce nel 1977 a Varese, dove all’inizio degli anni novanta inizia ad esprimere la sua creatività dipingendo le mura della città e diventa presto noto come Sea.
Si ispira alle opere d’arte di Barry McGee e Phil Frost, e di conseguenza inizia a usare pennelli e colori acrilici invece degli spray. Anche il suo stile si evolve, influenzato dai suoi studi di graphic design e dalla sua esperienza in agenzia.
Nel 2000 crea il progetto Seacreative, dove la sua esperienza di street art viene portata a un livello più tradizionale, utilizzando smalti, acrilici e inchiostri. Oltre a varie mostre e live performance sia in Italia che all’estero, Sea collabora con diverse agenzie, occupandosi di “street wear” e design. Attualmente dipinge e mostra i suoi personaggi al mondo non solo attraverso le reti convenzionali, ma anche in siti industriali abbandonati, dove l’arte di strada lascia le strade e i muri e incontra l’archeologia industriale con i suoi emozionanti spazi pieni di storia.
Matteo Capobianco, in arte Ufocinque, è nato a Novara nel 1981. Originariamente membro attivo della scena street-art italiana, ha gradualmente iniziato ad abbracciare una definizione più ampia del movimento mentre completava gli studi di Design al Politecnico di Milano. Convinto sostenitore delle infinite possibilità del murale come strumento di comunicazione, iniziò a sperimentare tecniche diverse al di là delle restrizioni che la scrittura come sottocultura codificata stava mettendo in atto. Al centro della visione di Ufocinque è il tema della stratificazione: ogni pezzo fonde tecniche pittoriche tradizionali con un atteggiamento orientato al progetto in cui si intrecciano molteplici livelli di interpretazione. La forma non è mai staccata dalla funzione e si sostengono a vicenda per creare un mondo bello senza sforzo.
06.05.2022 - 18.06.2022
opening: 05.05.2022
06.05.2022 - 18.06.2022
Tuesday-Saturday 3.30-8 pm
Il corpo caratterizza l’individuo, la persona. “Persona” indica l’individuo, non solo come un corpo preso nella sua totalità, ma, facendo riferimento all’origine del termine, anche maschera teatrale; la maschera infatti è qualcosa di spirituale che aderisce al corpo stesso. Personaggio e corpo quindi si equivalgono, nel senso che si può affermare che il corpo sia la fisicità dell’anima e che inevitabilmente interpreti un ruolo.
Body frame è un focus sulla complessità del corpo che viene indagato, messo a nudo, truccato, nascosto, modificato, travestito, mostrato. Il corpo messo in cornice diventa narrazione, tenta di eliminare ogni orpello per mostrare l’essenza che è poi pura astrazione. Il corpo sociale immortalato mentre recita, travolto dalle mode, nasconde cicatrici e fragilità. Ed anche corpi che sono materia di rivendicazioni sociali. Materia che si fa alter ego dell’individuo. Fotografie di fotografie che fissano frame di vita.
La serie di Carola Allemandi (Torino, 1997) propone un mix di ombre e luci, racconta l’oscurità che si annida negli angoli di un corpo. La sua è un’operazione poetica in cui i corpi con le loro posizioni assumono forme che l’artista registra ed espone alla luce, per svelare all’osservatore aspetti inediti.
Con Passport Photo (Do’s & Don’ts) Nadia Gohar (Cairo, Egitto, 1989) propone 25 foto- tessere “imperfette”, in ognuna ritroviamo abbigliamenti o accessori che non possono apparire in documenti ufficiali. Attingendo dalla sua esperienza per ottenere la cittadinanza canadese, Gohar ha rimesso in scena gli errori che avrebbero revocato la sua domanda, mettendo in discussione le nozioni di paura e pregiudizio incorporate nell’esibire la propria identità nazionale e sé stessa.
Con la serie, Galatea, Esmeralda Kosmatopoulos (Thessaloniki, Grecia, 1982) esplora la percezione dell’identità – la nostra e quella degli altri – e la relazione tra la coscienza dell’individuo e il corpo fisico nella sua materialità, visto come una combinazione di carne, pelle e ossa. Galatea (Γαλάτεια) era il nome della statua scolpita in avorio da Pigmalione, che poi prese vita nelle Metamorfosi di Ovidio. In quel mito, la mano di un uomo ha creato un oggetto a forma di corpo di donna e alla fine ha trasformato questo corpo-oggetto in una persona reale.
Carola Allemandi, Nadia Gohar, Esmeralda Kosmatopoulos, Urs Lüthi, Silvia Margaria, Şükran Moral, Helmut Newton, Steve Panariti, Irene Pittatore, Mario Schifano, Max Tomasinelli, Miro Trubač, Davies Zambotti.
Urs Lüthi (Kriens, Svizzera, 1947) con i suoi vari alter ego e gli autoritratti androgini solleva questioni sull’identità attraverso l’utilizzo del corpo. Volti incerti tra maschile e femminile, corpi assorbiti dall’oscurità di fondo. Lüthi gioca con l’aspetto ludico e tragico dell’essere umano, mostra il suo corpo e quello del pubblico di fronte alle sue fotografie.
Con la serie inedita Fragile Citizens Silvia Margaria (Savigliano, Cn, 1985) propone scatti di riproduzioni di sculture classiche illuminate da luce ultravioletta, solitamente usata in archeologia e restauro per rendere visibili le imperfezioni o la presenza di materiali non originali. Le copie in gesso in gipsoteca, nella loro evidente fragilità, sembrano apparentemente perfette sotto la luce ultravioletta. Il contrasto tra la riproduzione in duplicati di queste figure e il concetto di perfezione, resta sospeso intorno a un’idea di fragilità, quale elemento costitutivo del nostro presente.
L’artista turca Sukran Moral (Terme, Turchia, 1962) nel 1994 fotografa sé stessa in croce come Gesù Cristo e attraverso la performance messa in atto e immortalata dalla foto, racconta le relazioni nella società turca, denuncia in maniera forte la violenza sulle donne e le discriminazioni nei confronti delle minoranze, con uno sguardo che abbraccia Oriente e Occidente. Con le performance, nelle sue opere video e fotografiche, l’artista spende tutta sé stessa, la propria storia personale e professionale utilizzando spesso il proprio corpo. Helmut Newton (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) seduce lo spettatore con fotografie provocanti in cui non è il soggetto, ma il modo stesso in cui viene immortalato a diventare oggetto del desiderio. Affronta anche lui il principio dello “svelare occultando” e del rapporto tra luce e ombra sul corpo umano.
Irene Pittatore (Torino, 1979) lavora sulla consapevolezza di sé attraverso la fotografia; si avvale anche del metodo performativo tentando di dare forma a quegli aspetti in perenne evoluzione. Con il progetto You as me / Nei panni degli altri celebra la vulnerabilità, il potenziale politico e poetico di ogni corpo che si espone e allo stesso tempo si sottrae, anche solo temporaneamente, ai diktat sociali di ruoli, categorie di genere e status.
I soggetti delle fotografie di Steve Panariti (Torino, 1977) sono quasi sempre abitanti senza nome di spazi marginali. Da qui costruisce un discorso su ciò che di solito è in secondo piano, fuori dal frame, rendendo l’oggetto crudamente protagonista. La fragilità dell’assenza svela la parte difettosa del corpo, capace di sporcarsi e che non ha vergogna di mostrarsi. Ciò che di prassi non piace, quell’angolo di noi che vogliamo tenere nascosto, che esiste ma non si può far vedere.
Mario Schifano (Homs, Libia, 1934 – Roma 1998) influenzato dalla pop art americana, negli anni ’80, lavorò alla serie “Cosmesi”, dove immortalò una serie di corpi di donna, intervenendo sulla fotografia con un finto “make up” fatto a mano con pennarelli e pellicole colorate. Corpi di donne vagamente riconoscibili, frammentati e tuttavia carichi di energia e di desiderio.
Per Max Tomasinelli (Torino, 1971) la memoria è composta di ricordi nitidi, come fossero fotografie. Così la sua serie di collage racconta per frammenti la sua vita e le sue esperienze, la contaminazione di due mondi, l’arte e la moda, indagando il rapporto tra l’uomo e lo spazio. La sua ricerca riflette attorno al valore del linguaggio, delle immagini e del loro potere comunicativo.
Il lavoro di Miro Trubač (Trnava, Slovacchia, 1986) è caratterizzato da un profondo interesse per le relazioni. Attraverso scultura e fotografia cerca di raccontare storie che spesso attingono ai suoi ricordi e a situazioni che sembrano paradossali, assurde e irrisolvibili. La sua ricerca si concentra sull’ambiente familiare, su ciò che lo circonda e sulle esperienze personali.
Così il corpo è spesso al centro dei suoi lavori e viene modificato, alterato, andando a sottolineare la posizione dell’essere umano nella società, la sua solitudine o la sua confusione.
Davies Zambotti (Torino, 1980) tenta di spostare lo sguardo su spazi dove l’incertezza diventa l’habitat della vita umana. Ispeziona gli interstizi del quotidiano portando a galla ciò che si vorrebbe nascondere, che fa sentire fragili. Nella serie in mostra i corpi rappresentano lo stato d’animo interiore, il silenzio, l’ombra, la memoria e le dissonanze percepite dall’artista.
La mostra sarà visibile fino al 18 giugno 2022.
10.02.2022 - 30.04.2022
opening: 09.02.2022
10.02.2022 - 30.04.2022
Alejandro Bombín (Madrid, 1985) si ispira alla pop art e alla nuova figurazione; la sua pittura è una riflessione sull’archeologia delle immagini che fanno parte di una sua personale “programmazione visiva”. Lavora su documenti con alterazioni tipiche del tempo trascorso e indaga immagini abbandonate (foto di album, cartoline, libri scientifici obsoleti) creando una sorta di ponte tra errori digitali e mentali, regalando allo spettatore la possibilità di perdersi tra deformazioni e colori.
Con la mostra Romance Bombín mette in scena un dialogo tra finzione e relazione affettiva.
La dimensione simbolica del “romanzo” allude sia all’inerzia ideologica della tradizione, sia alla forza della tecnologia riproduttiva dell’immagine contemporanea.
l tratti distintivi di questa mostra sono la rima, la rottura e l’allitterazione; come in un romanzo le opere pittoriche che ne fanno parte contengono glitch, ossia il generarsi di errori nella riproduzione digitale.
Il glitch, solitamente definito come discrepanza tra previsione e risultato, ci permette di osservare la rottura del codice quale linguaggio cifrato di un canale di comunicazione.
Questo tipo di errore si presenta in questo caso come un’interruzione nella riproduzione automatica di modelli e schemi prestabiliti.
In Romance quindi Bombín presenta un’intima appropriazione dell’immagine “romantica” attraverso la pittura, che allude alla necessità di riformulare costantemente i legami affettivi per evitare che la fiamma dell’amore si spenga e per fronteggiare l’insufficienza di prospettiva in una realtà fortemente antropizzata.
Alejandro Bombín (Madrid, 1985) draws inspiration from pop art and new figuration; his painting is a reflection on the archeology of images that are part of his personal “visual programming”. He works on documents with alterations of elapsed time and investigates abandoned images (albums photos, postcards, obsolete scientific books), creating a kind of link between digital and mental mistakes, allowing the viewer to get lost in shape and colors alterations.
In the exhibition Romance Bombín creates a dialogue between fiction and emotional relationship. The symbolic dimension of the “novel” alludes both to the ideological inertia of tradition and to the strength of the contemporary image reproduction technologies.
Rhyme, rupture and alliteration are the distinctive peculiarities of this exhibition; as in a novel, the works contain glitches, as a generation of errors in digital reproduction. The glitch, usually defined as a discrepancy between prediction and outcome, allows us to observe the breaking of the code like an encrypted language of a communication channel. In this case, such mistake appears as an interruption in the automatic reproduction of pre-established models and structures.
With the painting in Romance Bombín presents an intimate appropriation of the “romantic” image, which alludes to the need to constantly reformulate emotional ties to prevent the flame of love, from extinguishing and resist to the insufficiency of perspective in a strongly anthropized reality.