Gallery
Via Bernardino Galliari, 15/C
10125 Torino
Opening time from Tuesday to Saturday, 3.30 – 8 pm only by appointment
Directors
Emanuela Romano +39 349 3509087
Valentina Bonomonte +39 393 4317956
Fondata nel giugno 2019, A PICK GALLERY è una galleria d’arte contemporanea che, come suggerisce il nome, si focalizza sulla ricerca e selezione di artisti, emergenti e affermati, nel panorama internazionale.
La galleria si dedica alla ricerca di nuovi linguaggi artistici, curando regolarmente mostre personali e collettive, cataloghi e producendo eventi in collaborazione con altre gallerie e organizzazioni. La selezione degli artisti mira a creare una forte identità, con un’attenzione alle pratiche artistiche contemporanee che colleghino diverse aree geografiche e culturali, sviluppando anche approfondimenti su temi determinanti della nostra società.
Lo spazio di circa 300 metri quadrati, situato nel centro di Torino, permette di lavorare anche all’allestimento di mostre site specific.
Exhibits
15.09.2023 - 21.10.2023
opening: 14.09.2023
15.09.2023 - 21.10.2023
ALL OVER
collettiva di artisti berlinesi
Antje Blumenstein, Fritz Bornstück, Anina Brisolla, Sven Drühl, Jay Gard, Lennart Grau, Philip Grözinger, Gudny Gudmundsdottir, Zora Jankovic, Michelle Jezierski, Franziska Klotz, Karsten Konrad, Jan Muche, Manfred Peckl, Paul Pretzer, Tanja Rochelmeyer, Michael Wutz
Paul Pretzer, Riechen nach links, 2021, olio su tavola, cm 20×27
30.06.2023 - 10.09.2023
opening: 29.06.2023
30.06.2023 - 10.09.2023
ore 18:30
22.06.2023 - 26.06.2023
opening: 21.06.2023
22.06.2023 - 26.06.2023
dalle 18:00
Finissage lunedì 26 giugno, ore 18:30 – incontro con gli autori
a cura di JEST
Artisti in mostra: Andrea Abello, Francesco Andreoli, Giorgio Andreoni, Anna Donatiello, Marco Farmalli, Maria Elisa Ferraris, Chiara Finelli, Alice Fiou e Lorenzo D’Alba, Sara Lepore, Fabio Meinardi, Fred Mungo, Mirko Pirisi.
La mostra collettiva Da qui in poi presenta i progetti fotografci di 13 artiste e artisti visivi under 30, sviluppati nell’ambito del progetto di formazione e produzione Futuri Prossimi.
Attraverso un uso multiforme dell’immagine fotografca, l* artist* in mostra suggeriscono, raccontano, si confrontano con il mondo e con sé stessi, senza tirarsi indietro di fronte a ostacoli e difcoltà. Anzi, cercando un valore nell’incertezza che caratterizza la loro esistenza (come quella di molti altri giovani), la sfruttano come punto di partenza per uno sguardo spassionato sul mondo, che possa ofrire prospettive o almeno appigli per comprendere e costruire, per trovare spazi di condivisione e di bellezza. Le fragilità, lo spaesamento e le ambiguità che caratterizzano la vita dei giovani di oggi, sia a livello individuale che generazionale, sono infatti uno dei temi centrali tra i lavori in mostra, osservato da vari punti di vista e rielaborato attraverso linguaggi molteplici. La fotografa diviene strumento di relazione e analisi, di indagine e scoperta, di cura e riconquista di spazi e tempi. Serve in qualche modo per afermare una presenza. Certamente, per poter guardare al futuro con speranza, il primo passo è essere presenti all’oggi.
Da qui in poi è la mostra conclusiva del progetto Futuri Prossimi, programma di formazione e produzione ideato e curato da Francesca Cirilli.
Futuri Prossimi è un progetto di Fluxlab APS in collaborazione con JEST
e con Wild Strawberries, Sweet Life Factory, Kublaiklan, AWI-Art Workers Italia, A PICK GALLERY, Layout.
con il contributo di Compagnia di San Paolo nell’ambito delle Linee guida per la formazione e l’avviamento alla professione culturale 2022.
Orari di apertura: mercoledì–sabato 15:30–20:00 / lunedì 17:00–20:00
18.04.2023 - 17.06.2023
opening: 17.04.2023
18.04.2023 - 17.06.2023
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16.02.2023 - 15.04.2023
opening: 15.02.2023
16.02.2023 - 15.04.2023
La mostra, curata da Sara Liuzzi ed Emanuela Romano, in collaborazione con l’associazione Ghëddo e Opere Scelte, presenta un elaborato percorso di opere che mettono in luce le numerose declinazioni del blu. Ciò che si evince è una sinergia ben calibrata tra opere di maestri affermati e giovani talenti – a livello nazionale e internazionale – che coprono un arco temporale ampio e non è certo un caso. Nel febbraio del 2023, infatti, ricorre il 65mo anniversario di una delle canzoni italiane più famose al mondo Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. Idealmente la mostra si concentra in questo periodo e si articola con opere di: Agostino Bonalumi, Antonio Carena, Fernanda Carrillo, Julia Carrillo, Marco Cordero, Giulio De Mitri, Marco De Rosa, Gérard Deschamps, Piero Dorazio, Sven Drühl, Andrea Fiorino, Francesca Gagliardi, Winfred Gaul, Mimmo Germanà, Raymond Hains, Fukushi Ito, Yves Klein, Ugo La Pietra, Silvia Margaria, Paola Mongelli, Ernesto Morales, Jan Muche, Tony Oursler, Giulio Paolini, Fabio Perino, Pablo Picasso, Salvo Raeli, Man Ray, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Werner Schreib, Paolo Scirpa, Renato Spagnoli, Marco Tagliafico, Laura Valle, Claudia Vetrano, Claude Viallat, Jacques Villeglé
«Il pigmento blu, nella sua più ampia accezione simbolica e trascendentale, è il filo conduttore del progetto espositivo. L’obiettivo della suddetta mostra – afferma la curatrice Sara Liuzzi – è stato quello di voler proporre al visitatore un’ampia panoramica storico-artistica, offrendo una lettura trasversale sulle infinite sfumature del blu. Un viaggio cadenzato tra eterogenei linguaggi e molteplici tecniche artistiche, il cui comune denominatore si riscontra, appunto, nel blu, in questo caso, policromo. Una sorta di rituale cromatico pone l’accento sulle diversificate letture interpretative di ciascun’opera presente e dimostra anche come i lavori esposti in questa ricca collettiva, pur appartenenti a determinati periodi storici e a generazioni differenti, possano ben interagire e dialogare tra loro, raccontandoci una meravigliosa e multisfaccettata storia nella sua totalità».
«Come preannuncia il titolo – dichiara la curatrice Emanuela Romano – la collettiva presentata è una narrazione che vuole approfondire il ruolo del colore blu nell’arte, di come abbia influenzato, ispirato e aiutato la produzione di molti artisti. Diverse sono le interpretazioni e le ricerche artistiche prese in considerazione, dai più famosi e storicizzati ai più giovani artisti. […] Noi conosciamo una grande varietà di blu con gradazioni e tonalità diverse – blu oltremare, blu egiziano, blu di Prussia, blu ceruleo, blu elettrico, blu marino, blu cobalto, zaffiro – e altrettanti significati si legano a questo colore in base anche alla gradazione. Per questo motivo in questa esposizione parliamo di blu policromo. Si vuole porre l’attenzione sulla complessità di questo colore che cambia aspetto con una piccola sfumatura e che è stato utilizzato con particolare accortezza da grandi maestri».
Un’occasione unica per riscoprire il fascino e l’influenza di questo colore, attraverso ricerche artistiche e particolati movimenti che hanno rivoluzionato la scena artistica del Novecento.
Un progetto in collaborazione con Associazione Ghëddo e Opere Scelte
Con il patrocinio della Accademia Albertina di Belle Arti Torino
Durante l’opening sarà possibile bere un drink proposto da “Sciarada – Bistrò e Miscelati” e ispirato alla mostra.
Si ringrazia anche Barbero e Ferrari & C di Sologno per aver supportato la produzione dell’opera di Francesca Gagliardi.
La mostra sarà visibile fino al 15 aprile 2023.
Tony Ousler, Blue double negative, 1999, glass sculpture, video, cm 36x23x28
10.02.2023 - 11.02.2023
opening: 10.02.2023
10.02.2023 - 11.02.2023
Nell’ambito di Novissimi+, la prima edizione del bando To.Be dedicato alla crescita professionale di artisti emergenti, provenienti da un percorso di formazione presso l’Accademia Albertina di Torino, l’Associazione Ghёddo e A PICK GALLERYpresentano il progetto Trappole. Pratiche simboliche di Claudia Vetrano.
La proposta espositiva, curata da Emanuela Romano per A PICK GALLERY, si inserisce nell’ambito di un programma più ampio di mostre a cura dell’Associazione Ghёddo, che prevede la collaborazione tra artisti e spazi d’arte contemporanea del territorio torinese. L’intero progetto è realizzato con il supporto e il patrocinio dell’Accademia Albertina di Torino e della Città di Torino e con il sostegno della Fondazione Venesio.
Il simbolo è un segno corrispondente a un significato o a un valore universalmente riconosciuto. Ed è proprio attraverso i simboli che l’uomo conosce sé stesso e i suoi bisogni, ed attraverso la sua espressione pone le basi della società. Inoltre, con l’utilizzo di rituali, l’uomo tenta di dominare le potenti forze che sente intorno a sé, innescando pratiche che potrebbero condurre al controllo sociale.
La ricerca di Claudia Vetrano si inserisce in questo quadro di riflessione e indaga il sistema di relazioni che spesso attiva trappole più o meno evidenti.
Nata a Palermo nel 1995, l’artista attualmente frequenta l’Accademia Albertina di Torino.
L’opulenza siciliana e il rigore torinese probabilmente non influenzano molto Claudia, che, con una forma estremamente essenziale, mantiene una grande libertà espressiva e spazia fra diversi media senza aggiungere orpelli superflui. Il messaggio nelle sue opere è forte, proprio grazie alla sua semplicità e alla capacità di utilizzare oggetti, materiali e colori fortemente simbolici. La struttura simbolica, sottesa alla vita sociale, viene scomposta e utilizzata in modo inedito nei suoi lavori. L’artista rielabora, infatti, ogni simbolo in relazione al senso di confine: recinti, catene, trappole, cultura, religione, lingue differenti, sono tutti elementi che studia minuziosamente per la sua ricerca artistica.
Nelle installazioni di Vetrano troviamo componenti che, nell’evocare la “tortura”, portano lo spettatore a riflettere sull’identità personale in relazione all’altro e allo spazio circostante. Si generano, così, nuovi spazi e nuove modalità di viverli.
In mostra sono presentate le opere più recenti dell’artista che, partendo dal concetto di confine, approdano a installazioni-trappole.
Nell’opera Impenintenza (2022), la costrizione trova una soluzione più incisiva nel restituire un’immagine familiare, che rielaborata diventa una struttura estremamente ambigua. Un‘altalena, da tutti conosciuta e riconosciuta come uno strumento di semplice divertimento infantile, è trasfigurato in una seduta che assume l’aspetto di una gogna, strumento di tortura e punizione. L’allusione ad una piacevolezza fa vacillare ironicamente il confine tra attrazione e repulsione, inducendo una riflessione sui due concetti e sulla loro vulnerabilità.
Nell’opera Fidanza (2022), invece, la luce diventa un elemento attraente che induce il visitatore ad avvicinarsi, trovandosi di fronte a una ricostruzione della Bocca della Verità romana. Il primo istinto è quello di inserire la mano, seguendo la leggenda medievale secondo cui la bocca avrebbe potuto mordere chi non avesse affermato il vero. Ma avvicinandosi si percepisce, oltre la bocca, un ambiente urbano in un video notturno. Le labbra diventano quindi un’apertura di rivelazione e al tempo stesso di devianza dalla realtà, che ipnotizzano e catturano l’osservatore.
Il lavoro di Claudia Vetrano pone chi guarda di fronte alla necessità di andare in profondità, di superare le abitudini percepite come confortevoli, al fine di tutelarsi dagli altri e soprattutto da sé stessi.
Un’opera inedita di Claudia Vetrano, inoltre, farà parte della mostra collettiva BLU POLICROMO: narrazioni e interpretazioni a confronto, un elaborato percorso di espressioni artistiche che mettono in luce le numerose declinazioni del blu. La mostra, curata da Sara Liuzzi ed Emanuela Romano, in collaborazione con l’Associazione Ghëddo e Opere Scelte, inaugurerà mercoledì 15 febbraio da A PICK GALLERY e sarà visibile fino al 15 aprile 2023.
Biografia artista
Claudia Vetrano [1995] nata a Palermo, vive e lavora a Torino. Artista eclettica, focalizza la sua ricerca sul valore simbolico dell’elemento scultoreo, estrapolato dal quotidiano e reinterpretato con essenzialità e rigore di forme e cromatismi. Attualmente frequenta l’Accademia Albertina di Torino approfondendo i suoi studi in Scultura.
Biografia Associazione Ghёddo
Ghëddo è un’associazione culturale attiva a Torino dal 2021 con l’obiettivo di organizzare progetti culturali per valorizzare e promuovere la giovane arte emergente. L’associazione mira a creare una rete dinamica tra artistə, gallerie e spazi indipendenti del territorio, favorendo esperienze di cooperazione al fine di costruire un legame solidale e generare dinamiche di scambio umano, etico, artistico. Ghëddo è: Stefania Balocco, Francesca Bernardi, Olga Cantini, Chiara Cosentino, Rachele Fassari, Davide Nicastro, Barbara Ruperti.
02.11.2022 - 11.02.2023
opening: 31.10.2022
02.11.2022 - 11.02.2023
La collettiva Landscapes of Hidden Words con i lavori di LegakwanaLeo Makgekgenene, Renée Akitelek Mboya e Karla Nixon, a cura di Laura Burocco e la personale di Lello Lopez, The Factory, realizzata in collaborazione con Shazar Gallery di Napoli.
Landscapes of Hidden Words propone il lavoro di tre artiste nate in diversi paesi del continente Africano, Karla Nixon (1990, Durban, South Africa), LegakwanaLeo Makgekgenene (1995, Gaborone, Botswana) e Renée Akitelek Mboya (1986, Nairobi, Kenya), le cui ricerche sono accomunate dalla presenza di memorie personali e immagini legate a spazi e luoghi in cui momenti e ricordi si intrecciano.
In modo differente le tre artiste ci portano a rielaborare l’interpretazione di storie nascoste, oppresse, spesso travisate. Utilizzano le parole per trasformare dei racconti facendoli loro.
Il lavoro di Karla Nixon si sviluppa a metà tra astrazione e figurazione. Lei usa la carta, tagliata a mano, dipinta, incollata; crea immagini che nascono dalle sue esperienze e da ciò che la circonda. La carta ritagliata è storicamente legata all’artigianato – tema sensibile nel contesto africano – ma l’obiettivo di Nixon è quello di portare il visitatore a guardare oltre il materiale e a perdersi nelle intricate narrazioni che realizza. In mostra una serie di opere degli ultimi due anni, come Dune II e Flood light and rain fall che evocano paesaggi e portano lo sguardo a perdersi tra texture e colori.
LegakwanaLeo Makgekgenene presenta una serie di fotomontaggi con cui tenta di ridimensionare il falso senso di stabilità e benessere dimostrato dai monumenti pubblici del Botswana. Le sue foto indicano una narrazione tra passato, presente e futuro, a metà tra vita reale e folklore virtuale, rielaborando monumenti locali, favole e modi di dire tradizionali dell’Africa meridionale. Le opere sono parte di una serie presentata nella mostra collettiva del Botswana Pavilion, presentata quest’anno a Francoforte, parallelamente alla 59a Biennale di Venezia, dove il Botswana non ha mai presentato un padiglione nazionale.
I video in mostra A Glossary Of Words My Mother Never Taught Me e And Salt The Earth Behind You di Renée Akitelek Mboya ripropongono archivi cinematografici coloniali per
tracciare le genealogie razziste legate alla produzione e alla visualizzazione delle immagini. Appropriandosi del materiale di Africa Addio (documentario italiano del 1966 sulla fine dell’era coloniale africana) e intrecciandolo con interviste a critici culturali e pensatori, Mboya crea un nuovo lavoro, riordinando le immagini in modo da interferire con il loro potenziale narrativo violento.
“Dal video alla fotografia e fotomontaggio, sino ad installazioni pittoriche. Le artiste – scrive Laura Burocco – interrogano la definizione di un territorio di appartenenza e la costruzione di una identità unica e collettiva”.
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Lello Lopez (1954, Pozzuoli, Napoli) fonda la sua ricerca sulla realtà, su un vissuto composto di incontri con altre persone. Si stabiliscono così relazioni che sono esperienza diretta di un mondo concreto. L’analisi introspettiva e riflessioni sul concetto di presente sono altri elementi della sua ricerca concettuale, che si concretizza attraverso vari strumenti espressivi scelti di volta in volta a seconda delle necessità comunicative al fine di riproporre una esperienza-verità.
A PICK GALLERY ospita Shazar Gallery di Napoli con il progetto The Factory dove Lopez pone l’attenzione sulla difficoltà che attraversa il mondo del lavoro. La sua videoinstallazione è una riflessione sulle trasformazioni e le drastiche riconversioni che l’industria subisce nei periodi di crisi economica e la loro ricaduta sulla vita delle persone che vi lavorano.
“Mi sono sempre interessato alla realtà che ‘frequento’ e di conseguenza del mio territorio. Nella zona dei Campi Flegrei dove sorgevano diverse fabbriche è in atto una riconversione che cancellerà inevitabilmente, oltre ai manufatti, anche i ricordi di un ‘mondo’, quello della fabbrica, che ha contribuito non poco alla crescita sociale e civile del nostro paese. Mi è parso opportuno filmare, fotografare e realizzare con i colori acrilici, su alcune cianografie trovate abbandonate (durante ripetute mie visite), il senso della mia esperienza. I luoghi dove intere esistenze si sono compiute sono in fretta ricoperti dal colore del tempo. Soltanto qualche traccia tra i macchinari arrugginiti rivela ancora la vita trascorsa: segni di gesso su lamiere, fogli affissi sul muro, utensili poggiati sulle attrezzature…”
Leo Makgekgenene,Mokapelo (official portrait), 2021, Digital photomontage on Epson enhanced matte with archival inks, 100×80 cm
10.09.2022 - 29.10.2022
opening: 09.09.2022
10.09.2022 - 29.10.2022
A PICK GALLERY presenta tre nuove mostre: Calculating reality, mostra personale dell’artista tedesco Sven Drühl, la personale dello spagnolo Solimán López, Introspection, e The Orwell project dell’americano Hasan Elahi.
Le personali di Solimán López e Hasan Elahi, curate da Karin Gavassa, approfondiscono tematiche legate alla visione del digitale, in particolare al Metaverso e al mondo dei NFT per ciò che riguarda il primo artista, alla privacy e all’autosorveglianza nel caso di Elahi e rientrano nella programmazione di Algo:ritmi 2022, il Festival diffuso dedicato ai linguaggi del digitale.
Le tre mostre, pur nella loro totale diversità, sono connesse da un fil rouge che è la forte presenza del mondo digitale, l’utilizzo delle nuove tecnologie e del loro impiego nella nostra quotidianità.
Mentre con Calculating reality vediamo paesaggi naturali che in realtà sono sviluppati in computer-grafica, con Intronspection si lavora alla creazione di nuovi modi di rappresentare esseri umani, piante e animali in spazi virtuali e nel metaverso attraverso l’arte, la genetica e la biotecnologia. Con The Orwell project invece i visitatori saranno catapultati nella vita dell’artista accedendo a un database multimediale pubblico, iniziato ben prima della diffusione dei social network che oggi sono diventati parte imprescindibile della nostra quotidianità.
Montagne innevate, scogliere impervie, mare in tempesta, ghiacciai immensi, questi sono i soggetti cari a SVEN DRÜHL che ci porta con la memoria a luoghi conosciuti, familiari. La natura è grande protagonista sia nelle tele imponenti, dove sentimenti tipici del romanticismo riaffiorano, sia nelle tele più intime. Sembra di essere di fronte alla natura più pura e incontaminata, ma le sue opere non sono mai la riproduzione del reale.
Sven Drühl si è ispirato a lungo a paesaggi naturali già ampiamente noti perché diventati “storia dell’arte” europea e giapponese grazie alle opere di famosi artisti. Paesaggi capaci di far scaturire sentimenti forti e nostalgici.
Nell’ultima serie di lavori pensata per la mostra Calculating reality le opere si basano principalmente su sfondi vettoriali di giochi per computer, si tratta quindi di paesaggi completamente virtuali e irreali. Una natura evidenziata da colori forti e contrastati che alterano la percezione del tempo, suggerendo a volte visioni notturne e altre diurne. Nell’osservare i suoi lavori ci si perde alla ricerca di elementi che svelino la realtà; si scruta la tela cercando di coglierne la vera natura ma spesso lo sguardo viene ingannato e non esseri umani, piante e animali in spazi virtuali e nel metaverso attraverso l’arte, la genetica e creazione di nuovi modi di rappresentare la biotecnologia. Con The Orwell project invece i visitatori saranno catapultati nella vita dell’artista accedendo a un database multimediale pubblico, iniziato ben prima della diffusione dei social network che oggi sono diventati parte imprescindibile della nostra quotidianità.
Nell’osservare i suoi lavori ci si perde alla ricerca di elementi che svelino la realtà; si scruta la tela cercando di coglierne la vera natura ma spesso lo sguardo viene ingannato e non comprende neppure se sta osservando una montagna innevata o un mare impetuoso. Che rappresentino scorci effettivamente esistenti e che abbiamo già visto o una loro visione romantica, comunque le opere dell’artista berlinese non possono non colpire profondamente e non dare degli imput ai processi che rimandano all’individuo l’esperienza di sé e del mondo.
Come nella realtà virtuale, le sue tele creano una simulazione della natura tale da portare lo spettatore a sentirsi parte di quel paesaggio, totalmente immerso in esso.
La tecnica di Sven Drühl ha anche un ruolo importante, la sovrapposizione di lacche lucide e opache su diversi strati, mostra dettagli differenti, a seconda della luce e dell’inclinazione del punto di vista Se nella progettazione la casualità è fondamentale, nel calcolare realtà possibili e nell’esecuzione, tutto è studiato dettagliatamente. Gli esiti sono scenari che sembrano più veri della realtà.
Alcune opere di Sven Drühl sono attualmente esposte al Museo della Montagna di Torino, all’interno della collettiva Laboratorio Montagna. Museo Città Territori. Sistemi in divenire, visibile fino al 9 ottobre 2022.
Le mostre saranno visibili fino al 26 ottobre 2022.
In collaborazione con Associazione Passepartout – Algoritmi Live Experience 2022. Con il supporto di MuPin – Museo Piemontese dell’Informatica
Short bio
Sven Drühl (Nassau, Germania, 1968; vive e lavora a Berlino) è noto per le sue opere concettuali nel contesto dell’appropriazione, del remix e della messa in discussione di riferimenti culturali. Nella sua ricerca esplora la questione dell’originalità, della paternità e della creazione attraverso l’utilizzo di ciò che già esiste, dando importanza al tempo stesso alla tradizione e al contemporaneo.
Tra le sue mostre personali: Calculating reality, A PICK GALLERY, Torino (2022); Virtual Landscapes, Alexander Ochs Private, Berlin (2021); New Landscape 4.0, Bluerider Art, Taipei (2020); Simulacra, Galerie Tony Wuethrich, Basel (2017); Simulated Landscapes, Opere Scelte, Torino (2017); Permutation, Caspar-David-Friedrich-Zentrum, Greifswald (2017); Shades of Grey, Gallery S.E., Bergen (2010); Landscapism, Michael Schultz Gallery, Seoul (2008); Remix, Fassbender Stevens Gallery, Chicago (2002).
Tra le principali mostre collettive: Alptraum, TAM Torrance Art Museum, Torrance (2020); 50 anos de realismo – Do fotorrrealismo à realidade virtual, Centro Cultural do Banco Brasil, Rio de Janeiro (2019); New Black Romanticism, National Museum of Art of Romania, Bucharest (2017); Under Construction (B)erlin, Opere Scelte, Torino (2015); Alptraum, Visual Voice Gallery, Montreal (2015); Berlin – Klondyke 2011, Art Center Los Angeles (2011); Culture(s) of Copy, Goethe Institut, Hong Kong Arts Center, Hong Kong (2010); De Natura, Centre d’Art Contemporain, Meymac/Limoges (2005).
30.06.2022 - 03.09.2022
opening: 29.06.2022
30.06.2022 - 03.09.2022
INSIDE/OUTSIDE fa parte della rassegna annuale che è nata tra i locali di A PICK GALLERY nel 2021 con l’intento di lavorare fuori e dentro la galleria, nei territori urbani limitrofi e non solo. La collettiva è la seconda edizione della rassegna, quest’anno a cura di Refreshink, che vede la partecipazione di 108, CT, Etnik, Mach 505, Refreshink, Reser, Seacreative e Ufocinque.
“Questa mostra corale – scrive Cristina Trivellin – propone un singolare gruppo di artisti legati da un importante denominatore comune, ovvero la provenienza dal mondo dei graffiti. Artisti i quali, condividendo spesso il “campo da gioco” – dalle hall of fame ai muri all’aperto, dalle vecchie fabbriche abbandonate alle gallerie – hanno portato avanti la propria ricerca, in alcuni casi restando fedeli alle “lettere” del graffiti writing, in altri mutando radicalmente la cifra stilistica.
È proprio questo processo, che porta a esiti del tutto eterogenei, il cuore pulsante della mostra, dove si evidenzia il movimento rizomatico che dai primi interventi con gli spray arriva a originali soluzioni stilistiche dialoganti con l’illustrazione, la grafica, il mosaico, la scenografia, l’informale, il 3D.
Ufo cinque passa dalla solidità del muro alla leggerezza delle candide installazioni in carta ritagliata che creano mondi onirici e lontani, come i borghi medievali resi con tratti essenziali ed elementi contemporanei. Inconfondibile lo stile di 108, in un percorso che va dal lettering al numering fino alla sintesi estrema e astratta racchiusa in campiture cromatiche dense di significato. Agli antipodi si collocano i personaggi usciti dalla mente creativa e dalla sapiente mano di Sea creative, grotteschi e ironici, fumettistici quanto basta per potercisi identificare.
Il puro graffiti writing è egregiamente rappresentato da Reser, che con il suo studio infinito e maniacale delle lettere e lo stile fluido e veloce si conferma un vero e proprio ‘maestro’. Nel lavoro di Etnik, invece, se si ravvisa la fede stilistica al 3D (uno dei principali generi del writing), nello stesso tempo si coglie l’evoluzione verso sempre più sofisticati paesaggi urbani costruiti su solide strutture geometriche che paiono porsi in antitesi alla fragilità umana.
Anche Mach 505 ricorre alla geometria ma per costruire una sorta di ‘mitologia urbana’ composta sovente da animali ancestrali o da soggetti ricchi di riferimenti simbolici.
A completare la straordinaria ‘jam session’ artistica, troviamo le linee decise e impeccabili di CT, un universo nitido di segni che, per analogia o contrasto riescono a dialogare con il contesto urbanistico e architettonico.
Un posto a parte va riservato a Refreshink, artista e in questo caso anche curatore: tanto studio sul campo, una ricerca partita dal lettering, passata attraverso universi figurativi popolati da fiori sensuali e animali fieri e imponenti, che oggi approda al recupero pittorico dell’antica tecnica del mosaico, rivista e reinterpretata in chiave decisamente ‘pop’.”
La mostra è visibile fino al 3 settembre 2022. Hosting partner Tomato Urban Retreat, Torino.
Ad agosto la galleria sarà aperta su appuntamento.
A luglio e a settembre l’orario di apertura sarà regolare, dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 20.
BIOGRAFIE
Guido Bisagni, in arte 108, nasce ad Alessandria nel 1978. Nel 1990 conosce lo skateboard tramite il quale viene in contatto con il punk e le altre sottoculture underground che caratterizzano il decennio, ma anche i graffiti. Nel 1997 si sposta a Milano per frequentare il politecnico e li conosce le avanguardie del ‘900 e soprattutto i testi di artisti come Malevich e Kandinsky e le sperimentazioni sonore di Russolo che lo influenzano profondamente. Continuare a dipingere sulle superfici pubbliche ma con uno stile personale più “europeo”, unisce l’esperienza del writing alle idee dei primi astrattisti e all’estetica punk e post industriale. Oltre che sui muri, lavora su supporti più classici come carta e tela, la scultura, ma utilizza anche il suono, la fotografia e il video tenendo sempre centrale la ricerca sia estetica che filosofica. Lo pseudonimo numerico che l’artista usa fino dalla fine degli anni ’90 simboleggia il ruolo spirituale che per l’arte ha per lui.
CT è Matteo Ceretto Castigliano. Guardando i suoi lavori si notano le sottigliezze, i piani sovrapposti e gli spazi in negativo. La semplificazione della forma letterale visibile nei suoi primi lavori si è evoluta in una fase 3D. Si potrebbe dire che la sua ricerca si è spogliata di ciò di cui non aveva bisogno per trovare qualcosa di nuovo. Lavora in spazi abbandonati, alla ricerca della tela perfetta con il giusto potenziale per creare un contrasto con il suo segno minimal. Il concept iniziale parte dalla struttura delle lettere e le forme decostruite portano poi al minimalismo dei graffiti. Il silenzio spicca nel suo lavoro, con la raffinata completezza della forma in un spazio imperfetto.
Etnik è nato a Stoccolma (Svezia); vive e lavora a Torino. writing sin dai primi anni ’90, dal 2001 il suo modo di dipingere si evolve verso forme Attivo nella scena graffiti geometriche e architettoniche, partendo dal lettering che diviene la base su cui imposta l’intero impianto concettuale e compositivo della sua ricerca artistica. La trasformazione delle lettere che compongono il suo nome in masse geometriche, sono lo spunto su cui costruire moduli architettonici che s’intersecano violentemente su piani opposti e punti di vista spiazzanti per rappresentare un cemento sempre più costrittivo e un equilibrio sempre più precario nella vita quotidiana di tutti. Agglomerati urbani ed elementi naturali che fluttuano in uno spazio indefinito appresentano le contraddizioni degli spazi urbani in cui viviamo. Oggi lavora nel suo studio a Torino, viaggiando molto per realizzare wall paintings di grandi dimensioni e partecipare ad esposizioni in gallerie in tutto il mondo.
Mach 505, Marco Cimberle (Torino, 1982), nato come partner del noto Truly Design Studio, ha un approccio al disegno chiaramente tecnico e funzionale, ma allo stesso tempo creativo e ispirato all’ambiente circostante.
Il suo obiettivo è sviluppare effetti ottici su ogni supporto possibile, grafica, illustrazione, scultura, pittura, video. Geometria, simbologie e tecnicismi sono il suo carburante per graffiti e anamorfismi.
Refreshink (Giovanni Magnoli) nasce ad Arona (Novara) nel 1971. Agli inizi degli Anni Novanta si appassiona al mondo dei graffiti, maturando le sue prime esperienze in strada con i compagni di crew. Col passare del tempo, giunge alla definizione di un peculiare stile, fuori dagli stilemi classici del graffito (lettere, puppet) verso linguaggi più stratificati, attraverso spray e tecniche miste. A partire dal 2000 inizia a dipingere nei luoghi abbandonati, contesti che lo portano a reinterpretare soggetti legati al mondo naturale: nel 2009 realizza il suo primo “gallo”, al quale seguono altri suggestivi animali dipinti a colori sgargianti, colature, giustapposti a elementi formali, come figure geometriche e scritte. Dal 2004 inizia la sua attività espositiva, tra mostre personali, collettive, festival nazionali e internazionali.
Reser vive e lavora a Torino. Ha iniziato a dipingere graffiti nell’estate del 1994, prendendo ispirazione dalle pareti e dipinti lungo le ferrovie durante i suoi viaggi a Parigi e Amsterdam in treno. A quei tempi non era comune vedere graffiti a Torino, ma il suo incontro con Spyder, scrittore che è stato uno dei primi della scena dei graffiti di Torino, lo ha portato all’uso metodico della bomboletta.
È membro della crew di Tot’s dal 1997 e della crew di graffiti internazionali di Love Letters.
Fabrizio Sarti nasce nel 1977 a Varese, dove all’inizio degli anni novanta inizia ad esprimere la sua creatività dipingendo le mura della città e diventa presto noto come Sea.
Si ispira alle opere d’arte di Barry McGee e Phil Frost, e di conseguenza inizia a usare pennelli e colori acrilici invece degli spray. Anche il suo stile si evolve, influenzato dai suoi studi di graphic design e dalla sua esperienza in agenzia.
Nel 2000 crea il progetto Seacreative, dove la sua esperienza di street art viene portata a un livello più tradizionale, utilizzando smalti, acrilici e inchiostri. Oltre a varie mostre e live performance sia in Italia che all’estero, Sea collabora con diverse agenzie, occupandosi di “street wear” e design. Attualmente dipinge e mostra i suoi personaggi al mondo non solo attraverso le reti convenzionali, ma anche in siti industriali abbandonati, dove l’arte di strada lascia le strade e i muri e incontra l’archeologia industriale con i suoi emozionanti spazi pieni di storia.
Matteo Capobianco, in arte Ufocinque, è nato a Novara nel 1981. Originariamente membro attivo della scena street-art italiana, ha gradualmente iniziato ad abbracciare una definizione più ampia del movimento mentre completava gli studi di Design al Politecnico di Milano. Convinto sostenitore delle infinite possibilità del murale come strumento di comunicazione, iniziò a sperimentare tecniche diverse al di là delle restrizioni che la scrittura come sottocultura codificata stava mettendo in atto. Al centro della visione di Ufocinque è il tema della stratificazione: ogni pezzo fonde tecniche pittoriche tradizionali con un atteggiamento orientato al progetto in cui si intrecciano molteplici livelli di interpretazione. La forma non è mai staccata dalla funzione e si sostengono a vicenda per creare un mondo bello senza sforzo.
06.05.2022 - 18.06.2022
opening: 05.05.2022
06.05.2022 - 18.06.2022
Tuesday-Saturday 3.30-8 pm
Il corpo caratterizza l’individuo, la persona. “Persona” indica l’individuo, non solo come un corpo preso nella sua totalità, ma, facendo riferimento all’origine del termine, anche maschera teatrale; la maschera infatti è qualcosa di spirituale che aderisce al corpo stesso. Personaggio e corpo quindi si equivalgono, nel senso che si può affermare che il corpo sia la fisicità dell’anima e che inevitabilmente interpreti un ruolo.
Body frame è un focus sulla complessità del corpo che viene indagato, messo a nudo, truccato, nascosto, modificato, travestito, mostrato. Il corpo messo in cornice diventa narrazione, tenta di eliminare ogni orpello per mostrare l’essenza che è poi pura astrazione. Il corpo sociale immortalato mentre recita, travolto dalle mode, nasconde cicatrici e fragilità. Ed anche corpi che sono materia di rivendicazioni sociali. Materia che si fa alter ego dell’individuo. Fotografie di fotografie che fissano frame di vita.
La serie di Carola Allemandi (Torino, 1997) propone un mix di ombre e luci, racconta l’oscurità che si annida negli angoli di un corpo. La sua è un’operazione poetica in cui i corpi con le loro posizioni assumono forme che l’artista registra ed espone alla luce, per svelare all’osservatore aspetti inediti.
Con Passport Photo (Do’s & Don’ts) Nadia Gohar (Cairo, Egitto, 1989) propone 25 foto- tessere “imperfette”, in ognuna ritroviamo abbigliamenti o accessori che non possono apparire in documenti ufficiali. Attingendo dalla sua esperienza per ottenere la cittadinanza canadese, Gohar ha rimesso in scena gli errori che avrebbero revocato la sua domanda, mettendo in discussione le nozioni di paura e pregiudizio incorporate nell’esibire la propria identità nazionale e sé stessa.
Con la serie, Galatea, Esmeralda Kosmatopoulos (Thessaloniki, Grecia, 1982) esplora la percezione dell’identità – la nostra e quella degli altri – e la relazione tra la coscienza dell’individuo e il corpo fisico nella sua materialità, visto come una combinazione di carne, pelle e ossa. Galatea (Γαλάτεια) era il nome della statua scolpita in avorio da Pigmalione, che poi prese vita nelle Metamorfosi di Ovidio. In quel mito, la mano di un uomo ha creato un oggetto a forma di corpo di donna e alla fine ha trasformato questo corpo-oggetto in una persona reale.
Carola Allemandi, Nadia Gohar, Esmeralda Kosmatopoulos, Urs Lüthi, Silvia Margaria, Şükran Moral, Helmut Newton, Steve Panariti, Irene Pittatore, Mario Schifano, Max Tomasinelli, Miro Trubač, Davies Zambotti.
Urs Lüthi (Kriens, Svizzera, 1947) con i suoi vari alter ego e gli autoritratti androgini solleva questioni sull’identità attraverso l’utilizzo del corpo. Volti incerti tra maschile e femminile, corpi assorbiti dall’oscurità di fondo. Lüthi gioca con l’aspetto ludico e tragico dell’essere umano, mostra il suo corpo e quello del pubblico di fronte alle sue fotografie.
Con la serie inedita Fragile Citizens Silvia Margaria (Savigliano, Cn, 1985) propone scatti di riproduzioni di sculture classiche illuminate da luce ultravioletta, solitamente usata in archeologia e restauro per rendere visibili le imperfezioni o la presenza di materiali non originali. Le copie in gesso in gipsoteca, nella loro evidente fragilità, sembrano apparentemente perfette sotto la luce ultravioletta. Il contrasto tra la riproduzione in duplicati di queste figure e il concetto di perfezione, resta sospeso intorno a un’idea di fragilità, quale elemento costitutivo del nostro presente.
L’artista turca Sukran Moral (Terme, Turchia, 1962) nel 1994 fotografa sé stessa in croce come Gesù Cristo e attraverso la performance messa in atto e immortalata dalla foto, racconta le relazioni nella società turca, denuncia in maniera forte la violenza sulle donne e le discriminazioni nei confronti delle minoranze, con uno sguardo che abbraccia Oriente e Occidente. Con le performance, nelle sue opere video e fotografiche, l’artista spende tutta sé stessa, la propria storia personale e professionale utilizzando spesso il proprio corpo. Helmut Newton (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) seduce lo spettatore con fotografie provocanti in cui non è il soggetto, ma il modo stesso in cui viene immortalato a diventare oggetto del desiderio. Affronta anche lui il principio dello “svelare occultando” e del rapporto tra luce e ombra sul corpo umano.
Irene Pittatore (Torino, 1979) lavora sulla consapevolezza di sé attraverso la fotografia; si avvale anche del metodo performativo tentando di dare forma a quegli aspetti in perenne evoluzione. Con il progetto You as me / Nei panni degli altri celebra la vulnerabilità, il potenziale politico e poetico di ogni corpo che si espone e allo stesso tempo si sottrae, anche solo temporaneamente, ai diktat sociali di ruoli, categorie di genere e status.
I soggetti delle fotografie di Steve Panariti (Torino, 1977) sono quasi sempre abitanti senza nome di spazi marginali. Da qui costruisce un discorso su ciò che di solito è in secondo piano, fuori dal frame, rendendo l’oggetto crudamente protagonista. La fragilità dell’assenza svela la parte difettosa del corpo, capace di sporcarsi e che non ha vergogna di mostrarsi. Ciò che di prassi non piace, quell’angolo di noi che vogliamo tenere nascosto, che esiste ma non si può far vedere.
Mario Schifano (Homs, Libia, 1934 – Roma 1998) influenzato dalla pop art americana, negli anni ’80, lavorò alla serie “Cosmesi”, dove immortalò una serie di corpi di donna, intervenendo sulla fotografia con un finto “make up” fatto a mano con pennarelli e pellicole colorate. Corpi di donne vagamente riconoscibili, frammentati e tuttavia carichi di energia e di desiderio.
Per Max Tomasinelli (Torino, 1971) la memoria è composta di ricordi nitidi, come fossero fotografie. Così la sua serie di collage racconta per frammenti la sua vita e le sue esperienze, la contaminazione di due mondi, l’arte e la moda, indagando il rapporto tra l’uomo e lo spazio. La sua ricerca riflette attorno al valore del linguaggio, delle immagini e del loro potere comunicativo.
Il lavoro di Miro Trubač (Trnava, Slovacchia, 1986) è caratterizzato da un profondo interesse per le relazioni. Attraverso scultura e fotografia cerca di raccontare storie che spesso attingono ai suoi ricordi e a situazioni che sembrano paradossali, assurde e irrisolvibili. La sua ricerca si concentra sull’ambiente familiare, su ciò che lo circonda e sulle esperienze personali.
Così il corpo è spesso al centro dei suoi lavori e viene modificato, alterato, andando a sottolineare la posizione dell’essere umano nella società, la sua solitudine o la sua confusione.
Davies Zambotti (Torino, 1980) tenta di spostare lo sguardo su spazi dove l’incertezza diventa l’habitat della vita umana. Ispeziona gli interstizi del quotidiano portando a galla ciò che si vorrebbe nascondere, che fa sentire fragili. Nella serie in mostra i corpi rappresentano lo stato d’animo interiore, il silenzio, l’ombra, la memoria e le dissonanze percepite dall’artista.
La mostra sarà visibile fino al 18 giugno 2022.