Gallery
Via Barbaroux, 14-16
10122 – Torino
Via Carlo Farini, 2
20154 - Milano
La galleria Raffaella De Chirico Arte Contemporanea è stata fondata nel 2011 e da sempre ha focalizzato il suo programma espositivo sulla produzione e realizzazione di progetti per la quasi totalità inediti sul territorio nazionale, privilegiando artisti di età inferiore ai 40 anni che si fossero già distinti per la ricerca e la proposta artistica fuori dal territorio italiano.
Lo stesso principio è applicato agli artisti storicizzati trattati dalla galleria, con particolare riguardo a coloro la cui ricerca si distinse negli Anni ’60, ‘70 e ‘80, sviluppando pertanto una parte del lavoro dedicato all’advisoring per investimento e alla costruzione di collezioni maggiormente focalizzate sull’arte moderna. Un costante filo conduttore di ricerca then/now caratterizza l’attenzione alla semantica, al minimalismo concettuale, alla ricerca di nuovi materiali di produzione ed alla fotografia di impronta sociale e di attualità: puntuale è la ricerca di un dialogo con il passato, determinata a sviscerare le peculiarità del presente, nel tentativo di stimolare alla discussione ed al dialogo.
Lo sviluppo del programma internazionale della galleria è duplice: volto alla partecipazione a manifestazioni fieristiche internazionali nonché alla collaborazione con Istituti Italiani di Cultura e Fondazioni e, contemporaneamente, collaborando con artisti la cui visibilità internazionale dia un valore aggiunto all’attività della galleria sul territorio nazionale.
Exhibits
16.09.2022 - 06.11.2022
opening: 15.09.2022
16.09.2022 - 06.11.2022
La galleria Raffaella De Chirico presenta CITY BREAK, la prima mostra personale di Matteo Procaccioli Della Valle (Jesi, 1983) negli spazi torinesi della galleria. Ultima tappa di un percorso di valorizzazione del lavoro dell’artista che Raffaella De Chirico ha avviato a marzo 2022 – iniziato con la pubblicazione e mostra/evento Private. Polaroid, 2012-2022, a cura di Benedetta Donato, passando poi in aprile al solo-show presentato al MIA Milan Image Art Fair 2022 – CITY BREAK porta a Torino un’ampia selezione di lavori di Matteo Procaccioli Della Valle, da opere di grande formato a intime Polaroid, accompagnate da un testo sempre a cura di Benedetta Donato.
CITY BREAK analizza la struttura urbana da diverse prospettive: in Microcities sorvola la città con inquadrature dall’alto che ne evidenziano la visionarietà ma anche la frammentazione; in Structures intercetta linee grafiche in costruzioni avvolte da uno spazio senza tempo; in Urban Hives si interroga sulla densità architettonica che diventa riflessione su un’umanità omologata e compressa dalle stesse costruzioni in cui vive. Il senso del viaggio nella ricerca di Procaccioli Della Valle è quello di scoprire significati ancora inediti, scenari nuovi, diversi livelli di lettura, muovendosi da edifici e architetture già esistenti.
Nelle fotografie di Procaccioli la narrazione sta proprio nella non narrazione esplicita. L’artista lascia al fruitore la possibilità di lasciarsi trasportare nella dimensione del non luogo, senza fornire specifiche indicazioni, e di cercare il passaggio umano attraverso suggerimenti delicati, scevri da giudizi antropologici, politici o messaggi sociali.
Come scrive Benedetta Donato, autrice del saggio critico: “In questo excursus visivo Procaccioli Della Valle sembra utilizzare la fotografia come linguaggio aperto, per risvegliare quella dimensione umana assente ed invitarla a rivedere i luoghi in maniera sensibile; a posizionarsi in prima fila, davanti ad uno specchio che riesce finalmente a riflettere la realtà dei luoghi, gli spazi pieni, quasi asfissianti, e quelli vuoti in cui si fa sempre più assordante l’eco di una natura distante.”
City Break
di Benedetta Donato
«Conoscere una città significa anzitutto conoscerla attraverso la rappresentazione; dedicarsi a una città in termini artistici significa accettare le rappresentazioni che di essa sono state date, sfruttandole magari, se si ha fortuna, per estrarne un pizzico (l’ultimo?) di significato originale…».
Lewis Baltz, La città e il suo doppio, Scritti, 2013
Il senso predominante del viaggio attraverso la ricerca sulla dimensione urbana di Matteo Procaccioli Della Valle è quello di scorgere significati ancora inediti.
Pensare nuovi scenari vuol dire volgere lo sguardo verso la realtà, attraverso più livelli di lettura, muovendo da edifici e architetture già esistenti, per proporre qualcosa di sconosciuto. La prospettiva rinnovata diventa percettibile nella rappresentazione finale, grazie ad una spiccata capacità di astrazione. Quest’ultima presuppone un certo grado di reciprocità: deve essere attitudine dell’autore tanto quanto dello spettatore. In altre parole, entrambi vivono un senso di spaesamento e al contempo di familiarità, rispetto alle visioni qui restituite sul tema delle grandi città.
La riflessione non si sofferma sull’oggetto al centro delle opere, ma va oltre e abbraccia considerazioni riguardanti l’architettura, la sociologia, la cultura e ciò che pertiene l’identità dei luoghi. Ecco che il confine tra rappresentazione e astrazione diventa sempre meno netto e si riesce a scorgere un discorso più ampio, al punto da intravedere – assieme agli elementi tangibili e sapientemente enfatizzati – tutti quei significati e simboli contenuti in queste fotografie.
L’autore guarda alla struttura urbana da diverse prospettive: in Microcities sorvola la città con ardite inquadrature dall’alto, che da una parte riprendono l’Identikit della New York immaginaria progettata da Le Corbusier e dall’altra riportano una sagoma deframmentata della città; in Structures intercetta venature e linee grafiche di costruzioni che appaiono avvolte in uno spazio evanescente, sospeso, senza tempo; in Urban Hives pone una questione sulla densità architettonica che, ad un secondo livello di lettura, fa immaginare un’umanità omologata e sovrastata da quelle stesse costruzioni in cui vive e abita.
In questo excursus visivo Procaccioli Della Valle sembra utilizzare la fotografia come linguaggio aperto, per risvegliare quella dimensione umana assente ed invitarla a rivedere i luoghi in maniera sensibile; a posizionarsi in prima fila, davanti ad uno specchio che riesce finalmente a riflettere la realtà dei luoghi, gli spazi pieni, quasi asfissianti, e quelli vuoti in cui si fa sempre più assordante l’eco di una natura distante.
L’elemento naturale è dissolto – in queste fotografie intrinsecamente lontano – e la contemplazione del paesaggio urbano diventa osservazione di un abisso. Rispetto alla dimensione cittadina o della megalopoli, vi è un’eguale sensazione di estraniamento, derivante da quella che Zygmunt Bauman definisce «esperienza ambivalente»: la città attrae e respinge allo stesso tempo.
Ecco che l’abisso può divenire spazio interiore e necessario, per ristabilire un equilibrio relazionale tra individui, tra paesaggio costruito e paesaggio naturale, tra densità urbana e umana.
Emerge una vitalità del pensiero che collima con i molteplici sguardi verso il mondo e le modalità attraverso cui riportarlo, trovando corrispondenza non solo nell’esercizio della composizione, ma in tutte le modalità e possibilità espressive sperimentate da Procaccioli Della Valle.
Dalla spettacolarizzazione delle opere di grande formato, all’intimità delle Polaroid singole, che esaltano un dettaglio e restituiscono vigore a porzioni di realtà… Quasi fossero spunti di riflessione sull’imperscrutabile, sulla forma più attinente da restituire alla contemporaneità.
L’utilizzo della pellicola istantanea non è finalizzato a collezionare souvenir di lettura immediata della realtà, ma diviene strumento e spinta a reinterpretarla, apertura a percepire i suoi cambiamenti, le sue imperfezioni, nel momento stesso in cui essi si manifestano, per interpretarli e manipolarli in maniera del tutto nuova.
Vengono infatti eliminate le acrobazie cromatiche, facendo emergere particolari monolitici dalle sembianze inconsuete che, in alcuni momenti, ricordano delle scenografie teatrali, tanto è minuzioso e vigoroso l’intervento apportato dall’autore.
La resa finale è uno stravolgimento del senso dell’immagine, che può esasperare il reale o fargli spazio, per esaltare parte di esso, in un’interrotta vitalità del sentire, che si traduce nell’atto di vedere ed osservare porzioni di realtà artificiali inanimate eppure brulicanti di esistenza.
Non è infatti lo stato delle cose a muovere e ad interessare il pensiero dell’autore, ma l’energia rigenerante che esse nascondono, che esiste tra idea, soggetto e sguardo.
Il confine tra ciò che appare per come è e il desiderio di stravolgimento di come dovrebbe e potrebbe essere, diviene tensione per l’imprevedibilità della vita, per ricercare un senso possibile di libertà, di armonia e di equilibrio.
In altre parole, superato il confine, ci troviamo di fronte all’immaginario nitido e originale del potenziale vivibile.
24.06.2022 - 08.09.2022
opening: 23.06.2022
24.06.2022 - 08.09.2022
Di origine peripatetica, la parola greca pathos indica insieme quel senso di passione e di concitazione proprio della tragedia. Tuttavia, l’evoluzione moderna di questo termine pone l’accento soprattutto sulla capacità di un’opera d’arte di suscitare contemporaneamente emozione e compartecipazione estetica nello spettatore. Un tale risultato è il frutto di una commistione irripetibile di sentimenti che fanno rima anche col senso primigenio etimologico della parola pathos, ovvero quello che fa riferimento alla sofferenza. Eppure, questo effetto vorticoso e cangiante o, per meglio dire, il suo substrato scatenante, permane in un luogo liminale che si interpone armonicamente tra l’opera e lo spettatore, un groviglio indefinito e diafano che coinvolge tutti gli elementi in gioco. Ed ecco dunque che il vortice trova la sua cerchiatura geometrica, il cane inizia a mordersi la coda e il filo strutturale di ogni cosa trova il suo senso con fare esauriente e perpetuo. Iniziamo dalla città natale dell’artista in questione, ovvero Patos, comune albanese situato nella prefettura di Fier, ricettacolo di influssi tragici caratteristici della parola di cui sopra, da cui ha preso piede, diventandone matrice indiscussa, l’investigazione artistica quasi ossessiva, connotandone persino la cromia, ed estremamente evolutiva di Arjan Shehaj, costituita dalla ricerca della struttura dell’essere, l’essenza spoglia ed evanescente di ogni cosa. Per essere egli intende solo ed esclusivamente quella linea bidirezionale che intercorre indissolubilmente tra realtà e percezione umana. Il tratto è impercettibile e smisurato, al di fuori di qualunque categorizzazione spaziale, sembra proprio che Shehaj si prenda beffa dello spazio e del tempo in quanto le sue opere appaiono scivolare su tali coordinate, attraversandole con estremo agio e in maniera cadenzata, e così facendo le tiene in pugno. Questi nodi sfuggenti ad una collocazione spazio-temporale non sembrano forse sussurrare la forma possibile di quel pathos liminale e complesso, frutto di sangue estratto
dalla profonda essenza della realtà e di aerea leggerezza dell’esistere? La risposta si trova in queste opere, create da una “ragione intuitiva” emancipata dalla forza di gravità terrestre, di vocazione allegoricamente sia olografica sia antropometrica, incentrate su forme pure, irriflesse e libere a base geometrica e che si presentano, in ultima istanza, come fibre reticolari magnificentemente encefaliche e labirintiche da cui emerge un’energia conturbante e la cui potenza, propria della materia informe, permette alle cose di assumere la realtà formale con grande forza e vigore, poiché, come scriveva Kazimir Severinovič Malevič, pittore russo fondatore della corrente Suprematista: «l’arte non si preoccupa di servire lo Stato e la religione, non desidera più illustrare la storia dei costumi, non si vuole avere più nulla a che fare con l’oggetto, in quanto tale, e credere che possa esistere, in sé e per sé».
Arjan Shehaj è nato nel 1989 nel comune di Patos, il cui nome deriva da quello dell’antico villaggio vicino al quale è sorto, situato nell’Albania sud-occidentale. La sua origine nominale è attribuita da molti studiosi al termine greco antico pathos. Tuttavia, il nome attuale è frutto di un’alterazione linguistica dovuta alla variazione della sua pronuncia: infatti, già durante il XVII secolo divenne Patios.
Shehaj attualmente vive e lavora a Milano. Nel 2012 ha conseguito la laurea triennale in pittura cum Laude presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e nel 2015 ha conseguito la laurea magistrale presso la medesima Accademia, anche questa con lode
22.04.2022 - 23.04.2022
opening: 21.04.2022
22.04.2022 - 23.04.2022
21 – 22 – 23 aprile / april
via barbaroux 16 ore /
hrs 11.00 – 20.00
FLASH SHOW
FEDERICA PATERA + ADREA SBRA PEREGO
Extended version. I libri d’artista di RAR
Extended version, flash show di soli tre giorni di Federica Patera e Andrea Sbra Perego, in mostra presso la sede torinese della Galleria Raffaella De Chirico, racconta la storia del progetto RAR, oggetto di continua ricerca da parte dei due artisti. In quest’ultimo, i libri, trasposti in opera d’arte tessile, sono legati l’uno all’altro, concettualmente da una narrazione perpetua e materialmente da tracciati di fili e cuciture.
Extended version attraverso cinque libri d’artista, complementari e ciascuno dedicato ad un particolare aspetto della ricerca di RAR, ne raccoglie dunque le tematiche e circolarmente le riporta al punto di partenza, i libri, raccontando il mistero che li attraversa: i frammenti letterari separatamente colti e nuovamente accostati sono forieri di una voce universale, la quale dettaglia la comprensione della realtà e apre nuove prospettive di significato, andando al di là della specifica trama. Partendo da un’opera d’arte, Federica Patera e Andrea Sbra Perego attivano questa sequenza di connessioni all’interno dei cinque libri d’artista. Presentano il legame che nella loro arte sussiste tra parola e gesto creativo, tra discorso e azione, imprimendo ancora una volta sulla stoffa verità segrete celate nella letteratura.
Nati nel / born in 1982 Vivono e lavorano a Torino Live and work in Torino
Federica Patera e Andrea Sbra Perego: letteratura e arte legate da un filo; una collaborazione che coniuga le esperienze di entrambi in un lavoro comune, che vuole essere un ponte e un punto d’incontro tra due discipline. Il duo nasce ufficialmente nel 2017 con il progetto RAR, che si focalizza sul valore dell’analogia in letteratura e con il quale inizia la collaborazione con la galleria Raffaella De Chirico Arte Contemporanea. Al centro della loro indagine c’è la dinamica che porta la lettura a divenire scrittura, e viceversa; il fruitore a divenire ostensore ed estensore, mescolando i ruoli. Lo scambio che si instaura garantisce la trasmissione, che va al di là della ripetizione e trova il suo completamento nella trasformazione. In RAR, l’eternità di un’opera si misura nella sua capacità di essere un bacino perennemente fecondo, foriero di comprensione e di intuizione.
26.01.2022 - 16.04.2022
opening: 26.01.2022
26.01.2022 - 16.04.2022
Private view
A seguito dell’aggravarsi della situazione sanitaria, la mostra di Sergio Ragalzi sarà visitabile solo su appuntamento
info@dechiricogalleriadarte.it
+393928972581
www.dechiricogalleriadarte.com
La prima volta che vidi il lavoro di Sergio Ragalzi, circa vent’anni fa, pensai due cose: la prima era che fosse un matto, un matto geniale beninteso. La seconda che, contrariamente alla mia consueta mutevolezza ed inquietudine nei confronti di cose ed esseri umani, avrei amato quel lavoro per tutta la vita e avrei potuto avere una collezione composta dai lavori di un solo artista. Lo penso ancora. Non sarà neppure particolarmente divulgativo e presuppone forse una già buona conoscenza del suo lavoro, ma auspico che possa dunque incuriosire per chi non la annoveri nel proprio percorso.
Già 40 anni fa, la ricerca artistica di Sergio ha previsto molto del nostro presente e dell’esistenza che stiamo conducendo. Se deleghiamo agli artisti una visione futura del mondo, allora Ragalzi ha perfettamente portato a termine il compito assegnato, andando di pari passo con le catastrofi che si sono susseguite sul nostro pianeta. Esistono persone, che talvolta sono anche artisti, per cui il mestiere di vivere, per dirla alla Pavese, è seriamente faticoso; Ragalzi ne fa parte, il che sembrerebbe paradossale, considerando che trascorrere del tempo con lui è divertentissimo; pranzarci insieme un’esperienza mitica, grappa finale inclusa.
Una visione apocalittica dell’esistenza, specie se lucida come la sua, non solo è declinazione artistica ma diventa salvifica e soprattutto consolatoria, uno sguardo lungimirante per non trovarsi impreparati, un meccanismo difensivo felicemente risolutivo, che indubbiamente tiene in vita lui, con un piglio da combattente mascherato da nichilista. Il conflitto, identificato in un discorso politico contro il nucleare e una visione ecologica quando se ne parlava pochissimo, nei lavori “atomici” degli anni Ottanta e Novanta diventa anche l’universale lotta dell’Eros e del Thanatos, pulsione di vita e di morte. Nella sua prefazione alla monografia Caos, scrive: “Tutto nasce dalla deflagrazione nucleare, rapporto mortale tra aria e terra, un amplesso distruttivo dove rimane l’ombra dell’umanità. Da quell’ombra tutto è cronologia della realtà: ombra-virus-insetti-larve- farfalle-corpi-respiro-insonnia-uragani-esistenze, consapevoli di contaminazioni”.
Le contaminazioni danno vita ad una scientifica circolarità nella sua proposta e sono intimamente affini alla visione di sezioni distinte ed interconnesse del film 2001 Odissea nello Spazio. Sono i temi del virus, degli “uomini-scimmia”, della pandemia, delle ombre atomiche, della clonazione. I Kloni dei primi anni 2000 ci fanno certamente pensare alla pecora Dolly e ai primi esperimenti genetici sugli animali in tal senso, ma le radici affondano in quel David Bowmann ripetuto del finale di 2001
(David Bowmann, che nome curioso, così simile a colui che scriverà Space Oddity un anno più tardi dall’uscita del film. I grandi creano sezioni circolari, aulici rimandi e criptici messaggi).
Diversi anni fa, Ragalzi si è recato alle inaugurazioni delle sue mostre indossando la maschera antigas o mascherine chirurgiche, il che oggi ci impressiona non poco. Nella recente grammatica e sintassi dell’arte contemporanea si citano spesso le urgenze e a come il lavoro degli artisti nasca per rispondere ad esse. È un’espressione che non sposo, anzi generalmente detesto, ma in questo caso, co-curare la mostra di Ragalzi ed accogliere su appuntamento e senza vernissage a causa della complicata situazione sanitaria, sarà un’esperienza molto interessante. Perché i visitatori indosseranno la mascherina e non sarà una performance, mostreranno i green pass in seguito a vaccinazione (quei vaccini che secondo alcune teorie di complottisti no vax contengono feti di bambini ed in mostra c’è un lavoro del ciclo Embrioni), sentendoci talvolta le Ombre di noi stessi, reduci da depressioni e notti Insonni, inghiottiti da un Insetto come Robert Smith dei Cure nel video di Lullaby del 1898 o il gigantesco insetto rosso sul tetto dell’auto di Duel di Steven Spielberg, Letti e Cuscini come voragini e buchi neri da cui tirarsi fuori a fatica. L’urgenza in questa occasione è personale e improcrastinabile. Per un onesto e sincero omaggio alla circolarità e visionarietà di un grandissimo, eccezionalmente talentuoso Artista, per raccontare il suo lavoro durante un momento apocalittico.
Per dovere di comunicazione, va detto che la mostra vuole essere una sorta di retrospettiva che contenga lavori mai esposti prima e che, sempre in onore alla circolarità, ruoteranno per i due mesi di durata della mostra e che è il primo di una serie di appuntamenti nel 2022, italiani ed internazionali, per promuoverne il lavoro.
Raffaella De Chirico Gennaio, 2022
06.11.2021 - 22.12.2021
opening: 06.11.2021
06.11.2021 - 22.12.2021
Sabato 6 novembre, in occasione della Notte delle Arti Contemporanee, la Galleria Raffaella De Chirico inaugura la personale SOMETHING D’ETERICO ERETICO di Jacopo Mandich (Roma, 1979).
Il progetto propone, attraverso un’installazione performativa e vari oggetti scultorei, un ambiente ibrido tra il tangibile e l’intangibile, il fisico e il metafisico, un interrogativo aperto su come i nostri sensi e percezioni della realtà, interna ed esterna, contribuiscono alle nostre identità individuali e collettive in un mondo frammentato. Per osservare la natura delle percezioni l’artista impiega diversi strumenti che interrogano a loro modo le “forze invisibili” che ci muovono. Infatti Jacopo Mandich negli ultimi anni si è concentrato sull’esplorazione della sfera dell’inconscio, utilizzando la materia come mezzo.
La sperimentazione presenta in un linguaggio poliedrico e rizomatico diverse contrapposizioni paradossali che, a livello metaforico, mettono in moto queste forze e le diverse tensioni che generano. Tensioni fisiche ed esplicite di carattere temprale sui materiali, come nella performance che si svolgerà il giorno dell’opening nel cortile della galleria: un blocco di ghiaccio verrà tenuto in trazione da elastici nell’attesa che si sciolga e si spezzi, innescando un’ulteriore tensione tra lo spazio in cui avverrà la performance e il tempo che essa richiederà.
Una tensione vibrante coinvolge anche le opere dalle strutture eteree e leggere, evanescenti allo sguardo e primordiali ai sensi dell’osservatore, esposte negli spazi interni della galleria, in cui tra apparenze luminose e rarefazione nelle proiezioni d’ombra galleggiano nel buio. Architetture corporee ed incorporee prendono vita: è la luce che genera lo spazio sottolineando il paradosso di contenuto e contenitore.
L’ambiente è in questo modo alterato dalla confusione tra struttura fisica delle opere e linee d’ombra: lo stesso processo accade nella nostra mente quando percepiamo la realtà, fra presunto dato concreto e realtà sensibile. La razionalità elabora il tangibile, considerando la materia come certezza imprescindibilmente concreta. Tuttavia, la materia fisica, analizzata a livello macroscopico , è per lo più composta da strutture vuote e la sua sostanza, costituita all’85% da materia oscura, è ancora in gran parte sconosciuta, il che rende paradossale la premessa di concretezza della materia. Le conoscenze acquisite e le verità ritenute consolidate vengono quindi messe in discussione e una rianalisi eretica (etimologicamente,- che sceglie-) ed intima della percezione viene incoraggiata.
Orari di apertura durante la mostra:
Giovedì 15h00-19h00
Venerdì 15h00-19h00
Sabato 15h00-19h00
15.09.2021 - 09.10.2021
opening: 14.09.2021
15.09.2021 - 09.10.2021
It was fun for a while
There was no way of knowing
Like a dream in the night
Who can say where we’re going?
Bryan Ferry, More than this
A seguito della mostra on line della scorsa primavera e delle private views dell’ autunno successivo a Torino e a Barcellona, finalmente il lavoro di Ima Montoya approda in galleria con il primo solo-show in Italia More than this.
Insieme al ciclo di lavori precedente, Like a Rolling Stone realizzati a Città del Messico tra il 2017 e il 2019, che celebravano la vita come progetto di viaggio alla ricerca di sé, Montoya presenta l’ultimo corpus di tele nato dalla quiete del confinamento nello studio londinese e sono intrisi della speranza e forza dell’artista di poter continuare a lavorare. In un certo senso, le opere sono un riflesso dell’ansia, della fame di vita che ci coglie quando siamo costretti a fermarci, rimanere quieti e talvolta smettere di sognare; More than this è una ribellione alla passività della nostra attuale esistenza, alla ricerca di traiettorie salvifiche e di sporadiche bolle di felicità.
Fino al 9 ottobre, opening alla presenza dell’artista.
Orari di apertura della galleria durante la mostra:
giovedì, venerdì, sabato 15.00-19.00
16.07.2021 - 10.09.2021
opening: 15.07.2021
16.07.2021 - 10.09.2021
È unʼestate strana quella che stiamo trascorrendo, fatta di attese e di aspettative, dettata dalle tempistiche della natura e degli sforzi dellʼuomo per contrastarne gli effetti nefasti, cause ed effetti che si susseguono da ormai un anno e mezzo.
La socialità, il viaggio ed il lavoro a pieno regime e soprattutto in sicurezza gli obiettivi principali. Lʼattesa oggi assume un sapore diverso: spesso in passato celebrata come momento magico, che amplifica il desiderio, accende euforia e sottrae forza al risultato stesso, ora è un elemento con cui convivere quotidianamente e difficile da gestire. Aspettative, speranze e paure in vista dellʼautunno nutrono questa estate fatta di dribbling tra le difficoltà e le vittorie e dosi vaccinali.
In tempi non sospetti, i quattro artisti scelti per la collettiva hanno contestualizzato questi temi divenuti cardine delle nostre aspettative future.
Le moltitudini vaganti Like a Rolling Stone di Ima Montoya e gli affollati luoghi di transito di Andrea Sbra Perego ci mostrano unʼumanità in movimento, compatta, senza timore di una vicinanza che possa compromettere la vita stessa. Lʼumanità dei lavori dei due artisti è profuga, esule, spesso in cerca di risposte e significati, alienata forse, infelice o stressata, ma lontana dallʼidea del distanziamento e degli strumenti di protezione a cui siamo ormai abituati.
Gli operai messicani di Alejandro Cartagena condividono i pick up ogni giorno per attraversare lʼautostrada 85 che va da Monterrey a San Pedro Garza García, uno spazio ristretto in cui gestire le incombenze pratiche della vita quotidiana; così come da sempre sono quotidiani lʼatto del recarsi al lavoro o a scuola, e la vicinanza e la confidenza che da queste pratiche derivano. Nascono amicizie e amori, invidie e litigi. Il lavoro e la scuola in presenza e la condivisione degli spazi, non rappresentano solo reddito ed istruzione ma imparare a relazionarsi con il prossimo ed imparare dagli altri o fornire a nostra volta esperienze e chiavi di lettura.
Anche i luoghi forse attendono di essere vissuti: alle strutture urbane, ai “mostri dʼacciaio” Andrea Chiesi ha tolto la figura umana, da parecchio tempo. Sono luoghi che spesso non vengono riconvertiti, abbandonati a se stessi, spesso in una logica di speculazioni e di potere. In questo periodo storico, tuttavia, sono molti i luoghi a cui è stato sottratto il corpo fisico, costretto al lavoro a distanza. Sono molti gli edifici ed i negozi chiusi, vuoti, di chi non ce lʼha fatta a resistere. Dove non è più possibile creare la magia della condivisione di unʼidea o di un progetto accidentalmente, nellʼintersecarsi dei discorsi della quotidianità e dello scambio.
Fino al 10 settembre (agosto solo su appuntamento) Orari galleria durante la mostra: giovedì e venerdì 15.00-19.00
– INDEX, di Davide Dileo, fino al 30 luglio, via San Pio V 11H, giovedì e venerdì 15.00-19.00 o su appuntamento/ INDEX by Davide Dileo, until July 30, via San Pio V 11H, Thursday and Friday 3-9 PM or by appointment
13.05.2021 - 03.07.2021
opening: 13.05.2021
13.05.2021 - 03.07.2021
Opening dal 13 al 16 maggio, 14h00-20h00
Fino al 3 luglio: giovedì-venerdì-sabato 15h00-19h00
Il nuovo spazio della galleria Raffaella De Chirico in via Barbaroux, 16 a Torino apre con RAIN GUN, di Fabio Perino (Torino, 1990) alla sua prima mostra personale.
Dopo un ciclo di studio visit presso la suggestiva casa/atelier dell’artista nel 2020, durante i quali è stato possibile fruire di lavori il cui focus verteva sulla tematica della linea e del punto, la mostra presenta un nuovo ciclo di lavori che si apre con una evoluzione del pensiero e della ricerca, indagando tematiche inerenti alla messa in discussione delle verità comunemente accettate e delle sue contraddizioni. L’elemento della linea dunque viene ora dematerializzato, perdendo i suoi connotati fisici. Ciò che in precedenza veniva sintetizzato e compresso nella figura geometrica, ora si espande in una dimensione senza apparenti limiti. L’attenzione è posta sull’incoerenza e scompenso propria della natura umana che, nella sua ambizione a superare l’atto creatore primigenio, è destinata ad opporsi a ciò di cui essa stessa è parte.
Video, installazione e fotografia compongono un corpus omogeneo per una struttura narrativa che fa del corto circuito comunicativo il suo fil rouge.
Tra i lavori in mostra maggiormente significativi, Self Portrait (Passaporto, neon, foglia di cycas revoluta), in cui la poetica dell’autoritratto si sofferma sull’identità necessaria ed imprescindibile fin dalla nascita di ogni essere umano. Filling the Sea (2021, stampa su carta hahnemühle Photo Rag Bright White 310 gsm) è lo scatto di un’azione documentata sulla spiaggia di Bordighera. L’artista riempie di acqua il mare: l’incoerenza propria di ogni essere umano espressa attraverso un’azione del tutto controversa.
Presso la casa/atelier dell’artista, in via Gioberti 8 sarà proiettato su appuntamento (info@dechiricogalleriadarte.it o +393928972581) il video Dear No One, della durata di 7 minuti; L’acqua che fuoriesce quasi ossessivamente con una precisa ritmicità data dal battente è allegoria umana, energia senza fine e ragione, incoerenza destinata ad incontrare lo spettro del reale, unica fonte oggettiva di paragone. L’aspetto installativo dell’opera assume anche una declinazione audio-visiva, dove la stessa scena, ripresa in punti diversi da camere differenti viene proiettata su tre pareti ed accompagnata dal suono naturale prodotto dall’opera stessa oltre che una dimensione performativa dovuta alla presenza dell’uomo all’interno di essa. In galleria in mostra alcuni frames del video stampati in edizione limitata su carta hahnemühle.
24.04.2021 - 24.04.2021
opening: 24.04.2021
24.04.2021 - 24.04.2021
Convertita dopo l’allestimento di marzo in una mostra on line per ragioni di forza maggiore, la mostra Paint it, Black inaugura per un solo giorno il 24 aprile, ultimo evento nello spazio di via Giolitti, 52. Da maggio infatti la galleria De Chirico si sdoppia tra Torino e Milano. A Torino l’unica sede sarà quella di via Barbaroux 16, che ospiterà la mostra di apertura del nuovo spazio dal 13 al 15 maggio. A Milano la Raffaella De Chirico Project, è in via Farini 2
Maybe then, I’ll fade away
And not have to face the facts
It’s not easy facing up
When your whole world is black
The Rolling Stones, Paint it, Black, 1966
In virtù dell’assorbimento di tutti i colori, il colore nero è stato spesso definito come assenza di luce, definizione che rimanda implicitamente al caos primordiale, dove non vi era separazione tra luce e ombra.
Nella mitologia greca ed in particolare nella Teogonia di Esiodo, Chaos è l’entità primigenia che generò Erebo (le tenebre) e Nyx (la notte), dalla cui unione nacquero Etere, (la potenza divina del cielo superiore e della luminosità del giorno) e Emera (divinità che rappresenta il giorno).
Nella Bibbia invece, prima del Fiat Lux (Genesi, 1,3) divino, frase pronunciata da Dio per la creazione della luce e dell’universo, il colore nero delle tenebre avvolgeva la terra.
In entrambi gli esempi, la connotazione negativa iniziale, primigenia del nero costituisce però la condizione necessaria ed inevitabile per la creazione della luce stessa, del giorno, e quindi della vita. La collettiva Paint it, Black, dal titolo di una celeberrima canzone dei Rolling Stones, vuole celebrare il non colore per eccellenza e la sua forza comunque generatrice:, con Sergio Ragalzi, Mohsen Baghernejad, Gisella Chaudry e Fabio Perino.
29.01.2021 - 20.02.2021
opening: 28.01.2021
29.01.2021 - 20.02.2021
Intimo e Politico
Claudia Hans, Eugenia Martínez, Nico Mingozzi, Claudia Virginia Vitari
Opening 28 gennaio, 2021
PROJECT ROOM: Via Giolitti, 52
dalle 11h00 alle 20h00
gradita la prenotazione