Gallery
Via degli Artisti 10
10123 Torino
orari di apertura
martedì - sabato
ore 15 - 19
La galleria davidepaludetto | artecontemporanea apre a Torino nel 2011, in Via Stampatori 9. Dal 2016 la sede si sposta in via Artisti 10, dove risiede attualmente. L’attività espositiva è fortemente caratterizzata da un interesse per l’area torinese, romana e berlinese. A partire da questa visione triplice, e cercando di coniugare la ricerca individuale di ciascun artista alla specificità del luogo di provenienza, la galleria proietta sul mondo il loro lavoro come tracciamento di più tradizioni forti, spesso in contrasto tra di loro, in un’unica lettura dialettica. L’aspetto più interessante è dunque il confronto fra queste tradizioni, le spinte, gli allontanamenti e le inaspettate affinità che si manifestano nel loro stesso formarsi esplicitamente. Un’altra peculiarità della galleria è la differenza generazionale tra gli artisti esposti, tutti operanti nel pieno della loro maturità artistica e con un importante percorso espositivo in Italia e all’estero. Tra questi ricordiamo: Elvio Chiricozzi, Mustafa Sabbagh, Paolo Grassino, Andreas Schön , Luca Grechi, Dorothee Diebold, Salvatore Astore, Petra Lemmerz, Daniela Perego, Sergio Ragalzi, Maura Banfo, Erik Schmidt, Domenico Borrelli, Paolo Assenza, Gregor Hildebrandt. Parallelamente a questo tipo di attività espositiva, si affianca la programmazione della Project Room, con uno spazio espositivo adiacente alla galleria principale, dedicato a singoli progetti di giovani artisti invitati a realizzare installazioni specifiche. Attraverso la maggiore disinvoltura tipica di ogni project room si manifesta una sorta di contraltare, di doppia linea rispetto alla sala espositiva principale.
Exhibits
04.04.2023 - 31.05.2023
opening: 02.04.2023
04.04.2023 - 31.05.2023
dalle ore 10.30 alle 19.00
Castello di Rivara Museo d’Arte Contemporanea
Strada del Castello – 10080 Rivara (T0)
Tel +39 0124 31122
www.castellodirivara.it – info@castellodirivara.it
In occasione della riapertura della stagione espositiva 2023 del Castello di Rivara – Museo d’Arte Contemporanea la davidepaludetto |artecontemporanea presenta una personale dell’artista bulgaro Kiril Hadzhiev, che segue la prima mostra del 2021 nello spazio torinese della galleria. Nelle sue nove grandi tele le figure sono sagome che emergono come umanoidi tremuli, elementi dello spirito che si animano e si incarnano in corpi/ corrente, angeli/tronco. Soggetti che campeggiano in mezzo alla scena e pare che assecondino segrete leggi naturali. Ultracorpi che l’artista muove attraverso la ricerca di una naïveté (im)possibile. Opere che chiedono solo di abbandonarsi all’apparizione in quanto tale – magmatica e segnata di urgenze. Nell’abbandono lo spettatore è sempre da solo, in cerca di un passaggio verso l’altrove, verso una “quarta parete” e una “quarta dimensione” tra l’animale e l’umano e coglie il vero conflitto, non dichiarato, dei nostri tempi. L’esito pittorico è una sorta di scapigliatura raffreddata e metallica, benché fluida. Mercurio liquido sparso in un vortice di segni. La tecnologia avanza, gli esseri ne sono interamente avvolti come da un fumo invisibile. Essi vengono colorati di uniformità, di carbone, di terrore silenzioso. L’artista diventa demiurgo/metallurgo/webmaster occasionale. Tecnico e poeta, lavoratore e oziatore di futuri incerti. Gli arti (s)composti, e come incelofanati da un film protettivo, corrono lungo l’inserto tecnologico cyber. L’arte come evento intossicante, quando è immersione dal tutto nell’uno, ed elemento di ebbrezza quando è emersione dall’uno al fuori. Per Kiril Hadzhiev il senso diventa “il cogliere” il lato della forma nell’atto stesso del formarsi. Ma – attenzione – non si interpreti quel gusto ancora vivo per le avanguardie come una appendice di “classicismo”, bensì come una reazione ad un dato geografico e storico suggerito dalla mera cronologia della Bulgaria, suo paese di origine. In regime di realismo socialista, infatti, l’avanguardia “storica” potè riprendere a vivere pienamente soltanto negli anni ’90. La formazione dell’artista è dunque segnata da questa strana rivoluzione traslata e la sua conseguente esperienza nell’apprendistato (perenne) come forma mentis.
Kiril Hadzhiev nasce a Sofia, Bulgaria nel 1990. Studia presso il liceo artistico “Ilia Petrov” di Sofia con particolare interesse all’incisione ed alla grafica. Nel 2009 si trasferisce a Torino e si iscrive all’ Accademia Albertina, indirizzo Scultura. Studia con artisti come Luciano Massari, Fabio Viale e Mario Airò. Continua gli studi e durante il biennio si specializza nella lavorazione del marmo, sviluppando il proprio lavoro artistico in una direzione concettuale. 2015 prima mostra personale presso la galleria davidepaludetto | artecontemporanea. 2018 consegue la laurea specialistica, ma poco dopo perde l’interesse per la scultura. Cercando un mezzo espressivo più personale, emotivo ed immediato inizia a dipingere e ben presto si dedica del tutto alla pittura figurativa.
16.09.2022 - 12.11.2022
opening: 15.09.2022
16.09.2022 - 12.11.2022
LA mostra presente cinque artisti operanti, ad iniziare dalla seconda metà degli anni ’80, nel cosiddetto triangolo industriale, cioè fra Milano, Torino e Genova. Sembra possibile identificare questa area geografica anche con una identità culturale. L’area italiana del Nord Italia ha sempre privilegiato il confronto internazionale, l’apertura agli scambi culturali rispetto all’ipotesi di una identità nazionale. Apertura che si riscontra anche nella loro ricerca che rivela assonanze con le generazioni europee e statunitensi. Un loro tratto comune è l’attenzione rivolta alle procedure concettuali intesa come volontà auto-analitica del ruolo dell’arte visiva messa a confronto col più geniale sistema dell’informazioni. Distacco, riflessione e ironia sono le caratteristiche del lavoro di Arcangeli, Cavenago, Mazzucconi, Vetrugno e Vitone le cui differenti personalità si rispecchiano in identità artistiche comunque molto distinte e definite. re-opening contemporary party martedì 2 novembre 2022 ore 18.00 – 22.00
21.05.2022 - 30.06.2022
opening: 20.05.2022
21.05.2022 - 30.06.2022
Testo di Fabio Vito Lacertosa
AIR – Come il sole la sfera. Un’imponente opera di ricostruzione scenica nell’area espositiva in via Artisti 10 ricrea una sorta di paesaggio au reverse, una solenne foresta di frammenti di pittura, dove spalti, quinte e palco sono sospesi e senza ruolo, in un presente continuo che non rivela alcun moto apparente. Il desiderio istintivo di comprendere la sorgente da cui questo tutto pare irradiarsi pone lo spettatore di fronte al senso stesso del titolo e ad una rappresentazione dello spazio che non può essere misurata. Sfera senza inizio e senza fine, oggetto che “non può cadere”, senza capo né peso, ridefinizione acefala e polimorfa del significato di corpo celeste come motore di inferenze. “Nel moto che va dalla frammentazione al corpus si rivelano le differenze tra le superfici che chiarificano e gli accumuli che – per definizione – nascondono, coprono e generano” (cit. Pittura Ambiente I, 2021). Nella dialettica costante tra pubblico e privato, colossale ed intimo, che attraversa tutti i lavori di Idem Studio, e in particolare quelli della serie AIR, Come il sole la sfera si assume il compito di parlare al singolo individuo con un linguaggio che si confronta apertamente con la dimensione del monumento e diventa politico senza desiderarlo apertamente. Esperienza ravvicinata, singolare e strettamente personale: l’unica possibile. Una forza generatrice interna spinge i frammenti dei suoi raggi lontano, a sedimentare dune, fughe, frammenti – “coriandoli” – espressioni di superficie sempre differente e visione periferica generata da sottotesti intricati, magnetici, invisibili. Catalogo confidenziale di variazioni sul tema e campo aperto dove i segni ambiscono a non significare nulla, in una tensione a scrollarsi di dosso le catene analogiche, ovviamente senza successo. Ma a giudicare dai commenti – “pare un campo di grano” – che sta ricevendo la recente foto che gira da qualche giorno sul web, non ci riesce neanche il Sole. La mostra, curata da Fabio Vito Lacertosa, con il quale il gruppo collabora dal 2017, sarà visitabile fino al 30 giugno 2022.
IDEM Studio nasce nel 2017 dalla condivisione delle ricerche dei tre artisti Ruggero Baragliu, Samuele Pigliapochi e Angelo Spatola, al fine di unire i propri percorsi sperimentali per raggiungere una comune visione critica riguardo l’immagine contemporanea, incoraggiando i rapporti inevitabili che si vengono a creare in una dimensione collaborativa di contaminazione. Il progetto IDEM Studio mantiene la coesione generata dai tre artisti che di volta in volta, conservando la formazione di base, si confrontano con personalità e contenuti esterni, ricercando continui dialoghi in grado di far evolvere il percorso del collettivo e restituire i suoi risultati al territorio. Exhibitions: The Others Art Fair 4/5/6/7 Novembre 2021 IDEM Studio / MANCASPAZIO Pittura Ambiente I 24/10/2021 – 28/11/2021 AIR – IDEM studio Installazione ambientale presso il castello di Rivara (TO) Edenidem 02/07/2021 IDEM Studio,Torino CORONISME (Sun Of A Beach.6 – Remix) 2020 28/08/2020 IDEM Studio / Denis Brun Nel contesto di progetto TRASLOCO, curato d NESXT in concomitanza con Manifesta Biennial all’interno del circuito PAC/Provence Art Contemporain 12e Printemps de l’art contemporain : la saison dure Atelier Denis Brun, Marsiglia Una vertebra della mia schiena, 2020 19/08/2020 Mancaspazio, Nuoro Suonare ti tocca, 2020 18/08/2020 Performance in apertura del concerto del Paolo Fresu Quintet a Nuoro in collaborazione con Galleria Mancaspazio e Nuoro Jazz Festival, Giardino della Biblioteca “S. Satta”, Nuoro Pastiche 06/03/2020 Spazio E_EmmE, Cagliari Elogio della fragilità 01/11/2019 Docks Dora c/o Mercante di Nuvole, Torino Triplette 29/10/2019 IDEM Studio,Torino Quand’è notte la sera 12/10/2019 Galleria Alessio Moitre, Torino Quelli belli come noi. Manifesto | Iconografie dell’indipendenza 29/06/2019 IDEM Studio, Torino Manifesto | Iconografie dell’indipendenza Un progetto di NESXT, in collaborazione con Spazio Y, prodotto da Mercato Centrale Torino, partner Salone Internazionale del Libro e MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma Tarapìa Tapiòco 01/03/2019 IDEM Studio,Torino Senza titolo, 2018 14/12/2018 Installazione site specific “Collettiva Lacerto” Galleria Alessio Moitre, Torino Aria Condizionata 30/10/2018 IDEM Studio,Torino Acqua, Fuoco, Fuochissimo 24/03/2018 Installazione permanente presso ViadellaFucina16 condominio museo, Torino Contiene Aromi Naturali 17/03/2018 IDEM Studio,Torino Overload 04/11/2017 IDEM Studio,Torino After School 22/09/2017 IDEM Studio,Torino 20.05.2022 – 30.06.2022
orari: 15.00 – 19.00 dal martedì al sabato
21.02.2022 - 10.04.2022
opening: 19.02.2022
21.02.2022 - 10.04.2022
Testo di Roberto Mastroianni
Am Abendhimmel blühet ein Frühling auf;
Unz hlig blühn die Rosen und ruhig scheint
Die golden Welt; o dorthin nimmt mich
Purpurne wolken! und m ge droben
In Licht und Luft zerrinnen mir Lieb’ und Laid! –
Doch, wie verscheucht von th riger Bitte, flieht
Der Zauber; dunkel wirds und einsam
Unter dem Himmel, wie immer, bin ich
Nel Cielo della sera si schiude una primavera;
innumeri le rose fioriscono e calmo risplende
l’aureo mondo; oh lass prendete
anche me, nubi di porpora! E Possa
Dileguare in luce e aria il mio amore e dolore! –
Ma, come atterrito da folle preghiera, fugge
L’incanto; si fa buio e solitario
Sotto il cielo, come sempre io sono…
Abendphantasie di Frederich Holderlin
Dorothee Diebold è una giovane artista tedesca nata a Offenbach am Main nel 1988, una millenials potremmo dire: un’appartenente alla generazione Y, una giovane donna cresciuta lasciandosi alle spalle il Novecento e con esso l’idea stessa di tradizione culturale, sociale e artistica. Una giovane donna immersa nell’infosfera e nel digitale e in un mondo tecnologico e ipermediatico in cui il proliferare delle immagini, degli oggetti e del consumo ha visto nel dispiegarsi dell’inorganico il paesaggio mentale e sociale dell’umanità. Il nostro mondo ibrido, in cui l’artificiale è integrato con il naturale e in qualche modo lo domina e lo sovrasta, è la sua casa, è la sua dimensione nativa, e nonostante ciò l’artista sente una spinta interiore impellente e indomabile a recuperare un rapporto con la natura e con l’essenza stessa dell’umanità che del mondo naturale fa parte nelle forme della cultura e della tecnica. La sua posizione, priva dei tratti anticulturali di un certo “luddismo” e di un certo ecologismo di maniera contemporanei, tende a recuperare una dimensione essenziale dell’umanità, attraverso una relazione conoscitiva e creativa con la natura e il biologico facendo i conti con i paesaggi artificiali tipici della tarda modernità, in cui è cresciuta, e con la dimensione specificamente culturale e artificiosa dell’umano. A partire da un rifiuto istintivo per quella distinzione cara a Umberto Eco tra apocalittici e integrati, ovvero tra l’adesione enfatica ed entusiasta allo sviluppo tecno-scientifico o la sua negazione polemica, Dorothee assume una posizione terza rispetto al rapporto natura-tecnologia: quella di ascolto, ricerca e indagine sulla condizione onto-antropologica essenziale dell’umano, portando avanti una ricerca artistica tesa a comprendere il rapporto uomo-natura e la sua configurazione nella tardo modernità globalizzata e tecnologica. Questa interrogazione sulla condizione e il posto dell’uomo nel mondo, spinge l’artista ad articolare una riflessione sul binomio naturale-artificiale e sulle forme del paesaggio interiore ed esteriore, nel tentativo di rispondere a un quesito fondamentale ovvero come sia possibile nella contemporaneità convivere armonicamente con la natura, dando spazio alla dimensione spirituale e intima e interiore specificamente umana. La risposta si dispiega con una potenza gentile e profonda, recuperando una Stimmung poetica dai tratti eminentemente tedeschi, che ci ricorda Hölderlin e Rilke, la quale diventa tonalità effettiva ed emotiva che permette di articolare uno sguardo sulle forme e la loro trasformazione in relazione al colore e al gesto tipico dell’astrazione concettuale. Assistiamo quindi al comparire di opere d’arte che, forzando la distinzione tra bidimensionalità e tridimensionalità, danno forma a pitture scultoree e a sculture pittoriche che recuperano colori e forme dei pattern naturali, i quali sono organizzati in un flusso di coscienza visivo, che dà vita a quadri capaci di presentarsi come immagini di un paesaggio esteriore al contempo interiore. Questo flusso di forme e materia restituisce in modo plastico biomorfismi che diventano rappresentazione dell’elemento comune tra l’interiorità e l’esteriorità e della co-appartenenza di umanità e mondo. Vi è un tratto culturale, tipicamente romantico e germanico, in questa passione per le strutture essenziali della realtà che vengono restituite in segni e gesti fluidi e articolati, al fine di dare forma a immagini che si presentano come istantanee pittoriche di quell’ élan vital bergsoniano, in cui siamo immersi e di cui come viventi facciamo parte. I pattern naturali nella loro ricorsività diventano così sfondo per interventi pittorici dotati di forte matericità, che creano un articolato dispositivo visivo capace di interpellare l’intimità del fruitore, mentre i biomorfismi, riprendendo le campiture e le tonalità tenuti e gentili dei quadri emergono nello spazio dando vita a sculture leggere e fluttuanti. Le opere, ottenute attraverso accorgimenti e procedimenti tecnici che imitano o sostituiscono il fenomeno naturale vengono realizzate con colori sgargianti e tonalità dal forte richiamo alla decorazione, riuscendo così a dar vita a forme rappresentative delle strutture essenziali del reale e allusive alla dimensione spirituale. La natura viene così raccontata in modo aniconico da Dorothee in una perfetta sintesi tra la sua impostazione esistenziale e il suo sguardo romantico e i linguaggi di una contemporaneità abituata a frattali, pixel e immagini astratte. Vi è una tensione alla decorazione nella ricerca di questa giovane artista tedesca che ricorda le figurazioni di Matisse, capaci di restituire la struttura profonda della natura attraverso la rappresentazione seriale di forme dal carattere decorativo, ma c’è anche una tensione spirituale profonda in questi lavori che allude a una dimensione ulteriore della relazione tra uomo e natura. Vi è qualcosa di mistico, infatti, nello sguardo e nel gesto esistenziale dell’artista che si riflette nelle sue opere: la consapevolezza di essere parte integrante del mondo naturale e del poter tornare a un rapporto profondo con il mondo attraverso la contemplazione e la ri-appropriazione delle logiche naturale. Privi di facili riferimenti New Age e ammiccamenti alla controcultura metropolitana contemporanea, lo sguardo e il gesto della Diebold danno forma a immagini che tentano di restituire uno stato appunto “ulteriore”, nel senso va aldilà del comune rapporto tra umano e natura, che ricorda appunto una fusionalità poetica e spirituale dai forti tratti poetici. Questo stato “ulteriore” che si accompagna spesso a una forma più o meno intensa di trance, sospensione e contemplazione del mistero della vita, cui fa riferimento il titolo della mostra, ricorda tanto quella tensione spirituale che animava la poetica del Hölderlin contemplante il “cielo” e le “rose” e che dalle “nubi color porpora” chiedeva di essere rapito. Nel Cielo della sera si schiude una primavera; innumeri le rose fioriscono e calmo risplende l’aureo mondo; oh lassù prendete anche me, nubi di porpora! E Possa Sostituendo le “foglie di tiglio” alle rose e alle nubi, Dorothee dà vita a dispositivi visivi che indagano il rapporto tra umanità-naturalità-artificialità e che restituiscono istantanee di esperienze intime e spirituali, attraverso un astrattismo concettuale ed esperienziale capace di incarnare l’immaginario culturale della nostra contemporaneità globalizzata.
Testo di Fabio Vito Lacertosa
Benché fatti con le sue mani e partoriti dalla sua intenzione, si può dire che Dorothee Diebold non possegga completamente i suoi lavori, perché essi la scavalcano e la superano. Superfici mimate o reali che innestano il proprio potenziale figurativo all’interno di possibili (o reali) rigonfiamenti, escrescenze, protuberanze. Tuberi che silenziosamente avvolgono angoli o invadono superfici piane come elementi geologici costretti a fatica all’interno delle forme della pittura “inquadrata”, ovvero che possiamo inscrivere all’interno di un punto di vista costruito su parallelogrammi. Questi “oggetti della volontà” sembrano infatti piegarsi come bonsai al servizio della visione totale dell’autrice, di una sua idea compositiva dello spazio scenico, per poi proseguire, malgrado tutto, come frammenti di giungla autonoma che cresce inudibile, ma ineludibile. Radici affette da tropismo lento e sfacciato, modulazioni della materia, estensioni della pittura, elementi di fusione con l’elemento naturale, trionfi ed elogi dello sconveniente e canceroso mondo fungino dell’infinito non modellabile. L’artista tedesca rifiuta il concetto demiurgico del “tirar fuori” per assumere a tratti l’intento e la provocazione di una pittura stratificata, concentrica, additiva, circolare, additiva, molecolare e infine capace di disfarsi in una forma che si liquefa e assume i caratteri di una impellente necessità musicale. Liberarsi da certe strettoie della composizione. Attraverso un lavoro molto personale di (de)sensibilizzazione visto come concetto chiave del rapporto con l’ambiente circostante, fa scaturire tutta una serie di deduzioni visive sull’abbandono di sé (trance) e l’automazione. Come raro e prezioso regalo, gli elementi scultorei, picchi che scaturiscono da un’idea “genetica” sottostante a tutto, alzano la posta della fantasia formale, dell’argomentazione visiva per accumulo, della infinita alternanza della coppia ripetizione/variazione. È difficile capire quale sia la lingua madre di Dorothee Diebold, impegnata in un’operazione che, se da una parte vuole celebrare una specie di desiderio fisico di “andare oltre la visione”, dall’altra vi si oppone strenuamente. Una sorta di lotta/cedimento a questa sensibilità organica e sensuale permea l’intera mostra e pone occhi e mani in buono e vincente equilibrio. La chimica che prelude al sogno permette allo spettatore di elevarsi in un corpo condiviso e percepire una frequenza di sottile erotismo ai margini di una fluidità delle forme e delle scelte proposte. Nelle opere precedenti, dove pareva venisse fuori dai muri una sorta di paesaggio continuo, immerso a metà tra astrazione e figurazione, si coglie sempre una propensione verso l’arrampicata, la scalata, la propensione alla fuoriuscita. Nelle ultime definizioni del suo lavoro, invece, DD accentua una matrice artificiale, che sembra provenire da una logica tipica di prodotto seriale. Sembra di scorgere materiali e prodotti di linea produttiva, sensibilità industriali stratificate, superfici abbandonate e resti scheletrici di pattern ossessivi. Oggetti destrutturati, tolti dalla loro funzionalità primaria, riemergono solo per pochi istanti in qualità di tessuti, corpi o superfici zombie. Si trasformano per andare a costituire elementi di un alfabeto artificiale in via di risoluzione da ogni ambigua promessa arcadica. Il rapporto dell’essere umano col presente è costellato di scarti. “Vedersi” significa porre in modo equidistante uno sguardo teorico sul passato e la possibilità di figurare un futuro remoto azzerando le dialettiche e riportando la natura ad ente al di là della nostra comprensione. In questo senso i lavori di DD, scenario di rovine richiuse in forme sinuose, possono essere considerati un’anticamera discreta di una dimensione politica, che guidi lo spettatore verso una presa in carico di una nuova possibile relazione con la sua pittura come una foglia di tiglio fa con la sua trance.